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Osteoporosi in microgravità, uno studio per combatterla

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Osteoporosi in microgravità, uno studio per combatterla
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Medicina nello spazio: sulla Stazione spaziale internazionale si studia come combattere l’osteoporosi. L’astronauta italiano Paolo Nespoli darà il via a una serie di test per monitorare nel tempo gli effetti della micro-gravità sulle cellule ossee.

SCOPRIRE i segreti dell’osteoporosi nello spazio. Perché la ricerca scientifica si fa in orbita. Il 14 agosto un campione di sangue, partito sulla navicella SpX-12 nell’ambito del programma Expedition 52/53 da Cape Canaveral, in Florida, arriverà a bordo Stazione spaziale internazionale per essere esaminato in assenza di gravità. Ad attenderlo ci sarà l’astronauta italiano Paolo Nespoliche darà il via a una serie di test per monitorare nel tempo gli effetti della micro-gravità sulle cellule ossee.

Un viaggio nello spazio per trovare conferme sull’origine della malattia così da poterla curare e prevenire. E’ uno degli esperimenti che dovrà portare avanti in questa sua terza missione di sei mesi in orbita, a centinaia di chilometri dalla Terra. A lavorare a questo studio un gruppo di ricercatori italiani del Biocampus medico di Roma, dell’università di Tor Vergata e di Teramo, in collaborazione con l’Esa e la Nasa. Il progetto fa parte della missione Vita (Vitalità, innovazione, tecnologia e abilità). “Cercheremo di stimolare le staminali ematiche per farle trasformare in osteoblasti, che sono capaci di produrre materiale osseo”, spiega Mauro Maccarrone dell’Università Campus Bio-Medico, responsabile dello studio che si è sottoposto al prelievo di sangue per la sperimentazione. “L’obiettivo è capire come ripristinare la corretta densità ossea e individuare così una terapia per i pazienti”. Nell’osteoporosi, le ossa hanno un contenuto basso di minerali e questo provoca un indebolimento della struttura interna che le rende più fragili. Nel corso delle missioni spaziali gli astronauti subiscono un calo significativo della densità minerale ossea, una perdita che ricorda quello che accade agli anziani sulla Terra. Per questo studiare in orbita i cambiamenti nell’ambiente cellulare è utile perché lo spazio accelera questi processi. Allo studio partecipano oltre a Maccarrone anche Monica Bari e Alessandra Gambacurta dell’università di Tor Vergata e Natalia Battista dell’ateneo di Teramo.

I campioni delle cellule ematiche del professor Maccarrone saranno inseriti all’interno di contenitori, lunghi 10 centimetri e larghi 4, creati in modo tale da ‘mimare’ un laboratorio terrestre. “Sulla Stazione spaziale internazionale verrà utilizzata una strumentazione, un hardware, che permetterà a Nespoli di iniettare nelle ‘camerette’ che contengono le cellule staminali una molecola capace di trasformarle il sangue in cellule ossee. Nespoli aspetterà fra le 48 e le 72 ore prima di congelare questo materiale. In seguito verrà riportato sulla Terra per ulteriori studi”. Fotografando le alterazioni molecolari, i ricercatori sperano di poter prevenire la malattia. “Vogliamo esaminare il ruolo degli endocannabinoidi, molecole simili agli ormoni, nel processo di invecchiamento delle ossa”. Sulla Stazione spaziale internazionale Nespoli porta avanti altri esperimenti che riguardano la salute. Accanto a quello sulle ossa, si studiano gli effetti della gravità sul cuore, sui muscoli e sulla vista degli astronauti in orbita.

Quello sull’osteoporosi è il forse il più rilevante che si affronta in micro-gravità. Questa patologia colpisce 4,5 milioni di persone solo in Italia. Fra queste 3,5 milioni sono donne, anche perché la menopausa aumenta i rischi fino a 4 volte. Le ‘ossa fragili’ sono un’emergenza e lo saranno sempre di più con una popolazione che invecchia. Con conseguenti costi per la Sanità. In 10 anni nel nostro paese il numero di fratture del femore da osteoporosi è cresciuto del 27% fra le donne e del 36% fra gli uomini. In un anno oltre 90.000 pazienti ultrasessantacinquenni sono stati ospedalizzati con un costo di 1,2 miliardi euro. “Se il lavoro in laboratorio andrà bene avremo i primi risultati dello studio fra   qualche settimana”, aggiunge Maccarrone. “In seguito contiamo di fare altre sperimentazioni con prelievi su pazienti affetti da osteoporosi. Isoleremo le loro staminali ematiche, le ‘rieducheremo’ per dare vita a materiale osseo e mediante trasfusioni autologhe le restituiremo ai malati per vedere se ci sono effetti benefici. E seguendo questa strada speriamo di trovare una nuova arma per combattere l’osteoporosi senza usare farmaci, con possibilità concrete di arrivare ad una cura personalizzata per ciascun soggetto”.

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