Miti e leggende su animali considerati sacri ancora oggi

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Gli intoccabili, tigri, iene, delfini rosa, testuggini… da sempre vivono protetti nelle zone dove sono considerati sacri, salvo incontrare i cacciatori poco più in là.

Nella valle del Dibang, in India, c’è la credenza che chi uccide una tigre subirà terribili disgrazie.

Dice la leggenda che i “botos”, i delfini rosa del Rio delle Amazzoni, di notte si trasformino in bellissimi uomini e donne e vadano in giro a fare innamorare gli indios. Le iene sono considerate alleate degli stregoni per compiere malefatte nello Zimbabwe e utili divoratrici di spiriti maligni in altre parti dell’Africa. Le tigri, per chi vive nella valle di Dibang, in India, sono antichi fratelli degli uomini…

Inutile dire che nessuno di questi animali viene cacciato o ucciso nel territorio che le venera o lo teme. Così le credenze popolari sono ancora oggi, in molte zone, un aiuto alla conservazione della biodiversità. Lo si capisce be-ne guardando la differenza tra il benessere di cui alcune specie godono nelle regioni in cui la loro carne è tabù e il rischio di estinguersi che corrono nel resto del mondo.

Quando totem e tabù fanno bene alla natura.

Delle settanta principali specie animali che la letteratura antropologica associa a tabù locali, il trenta per cento è considerato “minacciato” dalla Iucn, Unione mondiale per la conservazione della natura. Ma è sicuro che senza le credenze popolari sarebbero molte di più.

«I tabù hanno un importante ruolo ecologico anche perché in certe zone, come l’Africa centro-occidentale, iniziative di altro tipo per limitare la caccia spesso risultano inefficaci» spiega Sahil Nijhawan, antropologo conservazionista presso lo University College di Londra. «Diversi sondaggi mostrano che nelle aree più rurali il folklore è molto più conosciuto delle leggi nazionali sulle specie cacciabili».

A ciascuno la sua specie

George Holmes, Università di Leeds
George Holmes, Università di Leeds

Tra gli animali protetti dalle tradizioni, alcuni godono dello status di totem: sono quelli che alcuni popoli, per esempio quello africano degli Shona, assegnano alla nascita a ciascun membro di una comunità. «Per gli Shona, di cui faccio parte, se un individuo si nutre con la carne del suo animale in breve perderà tutti i denti» spiega Vengesai Chimininge, ricercatore in antropologia alla Lancaster University. «Così, quando vediamo uno sdentato, noi diciamo: avrà mangiato il suo totem». L’efficacia protettiva del totem è dovuta anche alla condivisione famigliare. «Il mio è una scimmia: questo significa che io non vorrò mai uccidere né scimpanzé, né gorilla, né babbuini. Tutti fanno infatti parte della Jevanda, l’estensione del 5 mio totem» spiega Chimininge. «Poi, siccome il totem di mia moglie è la zebra, non solo lei, ma neppure io o i miei figli possiamo mangiare carne di zebra». E così via…

Naturalmente, i miti che oggi difendono la natura si sono affermati per tutt’altra ragione. «Il loro scopo era dare un senso al mondo» spiega George Holmes, docente di conservazione della natura all’Università di Leeds. «La distinzione tra natura e cultura – quindi l’idea che il mondo naturale sia qualcosa di separato da noi, e da proteggere – fa parte della nostra storia recente. Quando questi miti sono nati, l’uomo si sentiva tutt’uno con la natura, quindi non aveva modo di vederla come una realtà separata, che potesse essere messa in pericolo dalle sue attività».

Fratelli pericolosi

Molti dei tabù pro animali sono legati ai miti dei popoli sulle proprie origini. È il caso della tigre presso gli Idu Mishmi. «Nel marzo 2012 dovevo fare un censimento delle tigri nella valle del Dibang, in India, e un anziano Idu Mishmimi disse: “Se vuoi trovarne tante, sali sulle montagne”» racconta Nijhawan. «In effetti lì ce ne sono molte, nonostante la vicinanza con la Cina, che, per via della sua medicina tradizionale, è la più grande consumatrice di parti di questo felino. “Nella nostra cultura la tigre è un antico fratello: dobbiamo proteggerla” mi spiegò il vecchio. Il primo degli Idu, secondo la leggenda, litigò con il suo fratello tigre e lo uccise. Allora i creatori, sdegnati, rigenerarono l’animale e, per proteggerlo, lo mandarono a vivere sui monti: terribili sventure avrebbero colpito chi si fosse macchiato del suo sangue. E questo tabù trattiene ancor oggi gli agricoltori dall’uccidere le tigri anche quando scendono a valle per razziare il bestiame».

La tigre del Bengala (Panthera tigris tigris)
La tigre del Bengala (Panthera tigris tigris)

«Uno stesso animale può poi avere significati opposti in luoghi diversi» dice Holmes: «la iena in Zimbabwe è associata alla magia nera, mentre in Etiopia è venerata perché mangia gli spiriti maligni, tanto che a Harar sono stati costruiti speciali cancelli per facilitarne l’accesso in città».

In Madagascar i tabù sono tanti: «La parola che si usa per indicarli è “fady”: sono proibizioni derivate dagli antenati che devono essere rispettate. Alcune delle “specie sacre” avrebbero aiutato in passato un membro del clan, e per questo sarebbero da proteggere oggi» spiega Gloria Pungetti, docente di paesaggi bioculturali all’Università di Sassari. E proprio uno di questi “fady” vieta al popolo Tandroy di uccidere la rarissima testuggine raggiata. In Cambogia, invece, un’altra specie in pericolo, il coccodrillo siamese, è protetto dalla comunità Por. «I Por credono che, se un coccodrillo viene ferito o ucciso, uno spirito della foresta porterà malattia o morte al responsabile».

Nel lemure c’è un’anima

A volte la vicinanza tra animali e uomini è suggerita invece da caratteristiche fisiche. Per esempio, ancora nel Madagascar, si pensa che i lemuri sifaka di Milne-Edwards, dalla forma antropomorfa, ospitino le anime de-gli antenati, e siano perciò intoccabili. Quanto alla leggenda che vede nei delfini delle Amazzoni esseri trasformisti e tentatori, va detto che nel tempo ha avuto anche ricadute non esattamente spirituali, essendo stata usata come scusa per giustificare liaisons notturne e adulteri. Comunque sia, oggi porta all’utile tabù sull’uccisione di delfini.

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