Nel 1920 una spedizione scientifica guidata dal geologo petrolifero svizzero François de Loys, già da tre anni impegnata in una drammatica esplorazione della giungla amazzonica, si inoltrò nella Sierra di Perija, sul confine tra Venezuela e Colombia. Nel corso di questa perlustrazione, un giorno il campo dei viaggiatori fu attaccato da una coppia di grandi scimmie di tipo sconosciuto, senza coda, che si muovevano su due zampe. Di fronte alla palese aggressività dei due animali, che iniziarono anche a lanciare i loro escrementi, gli uomini fecero fuoco, uccidendone uno e mettendo in fuga l’altro.
Esaminando con più attenzione il cadavere rimasto sul terreno, fu possibile stabilire che si trattava di un esemplare femmina, alto 1,57 metri, e di esso venne scattata una fotografia. Purtroppo non fu possibile conservare il corpo dell’animale; solo il suo teschio fu usato per un po’ dal cuoco della spedizione come saliera, ma poi anch’esso andò perduto.
Al ritorno in Europa, de Loys non rese subito pubblica la sua scoperta, e solo nel 1929 un suo amico, l’antropologo franco-svizzero George Montandon, la notò mentre consultava il materiale raccolto durante la spedizione sudamericana. Egli denominò la creatura Ameranthropoides loysi e le diede subito grande pubblicità, perché essa veniva a dare conferme alle sue teorie sull’origine della razza umana. Purtroppo le sue convinzioni erano del tutto scriteriate e fortemente pervase da razzismo: egli pensava che gli Africani si fossero evoluti dai gorilla, gli Asiatici dagli orangutan e solo gli Europei da un primigenio Homo Sapiens; in questa ottica, l’Ameranthropoides sarebbe stato l’antenato degli Amerindi. L’intera questione, dunque, passò ad un dibattito più grande di lei e di conseguenza venne completamente screditata. Quasi tutti pensarono che la foto fosse un falso, forse manipolata dallo stesso Montandon, e lo stesso criptozoologo Ivan Sanderson non diede alcun credito alla veridicità della foto, sostenendo che nell’area in cui la scimmia sarebbe stata uccisa non ci sono tradizioni che parlino di grandi primati. Questo, tuttavia, non è del tutto vero: già nel 1533 il conquistador spagnolo Pedro Cieza de Leon parlò di grandi creature di aspetto scimmiesco, chiamate marimondas o maribundas, avvistate non solo dagli indigeni, ma anche da un colono iberico. Anche Walter Raleigh, famoso esploratore inglese della fine del XVI secolo, diede credito alle storie di avvistamenti di queste bestie, mentre all’inizio del XIX secolo il naturalista tedesco Alexander von Humboldt, risalendo l’Orinoco, sentì parlare di ominidi chiamati salvajes, accusati di catturare donne ed in alcuni casi addirittura di cannibalismo.
Avvistamenti più recenti di queste creature, chiamate localmente mono grande, sono avvenuti nel 1951, da parte del francese Roger Courteville, nel 1968 da parte dell’italiano Pino Turolla (che asserì di aver incontrato l’ominide sia presso il Tarro che in Ecuador orientale) e nel 1987 dallo statunitense Gary Samuels (in Guyana).
Considerando spassionatamente la faccenda, è improbabile che la fotografia riportata da de Loys possa essere ritenuta un falso. L’aspetto dell’animale ricorda le atele, scimmie del Sudamerica, che però sono dotate di coda e sono di piccole dimensioni. Altri elementi attribuiti all’esemplare abbattuto ed al suo compagno ricordano le atele: il lancio di escrementi contro intrusi nel proprio territorio e lo pseudo-ermafroditismo (dalla foto l’animale sembra essere di sesso maschile).
Si potrebbe allora ipotizzare che in America le atele si siano evolute sino all’apparizione di una razza antropomorfa, di grandi dimensioni e priva di coda, così come avvenne nel Vecchio Mondo.
Se sfrondiamo questa ipotesi dalle farneticazioni deliranti di Montandon, essa non appare per nulla peregrina, e potrebbe corrispondere alla verità. Tuttavia, sino a quando non sarà possibile avere a disposizione di tutti un esemplare di tali animali (preferibilmente vivo), essa resterà solo un’entusiasmante possibilità.
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