La pioggia di fuoco su Sodoma e Gomorra

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Nella Genesi si narra che nelle vicinanze del Mar Morto esistevano, al tempo del patriarca Abramo, cinque potenti e ricche città, Sodoma, Gomorra, Adma, Zeboim e Zoar, viste con un misto di meraviglia e repulsione dalle tribù nomadi del deserto. In particolare, le prime due erano marchiate a fuoco per l’empietà e la perversione dei suoi abitanti, che giunsero a tal punto da provocare su di esse la collera divina. Secondo il testo sacro, una pioggia di fuoco e zolfo si riversò sui due centri abitati, radendoli completamente al suolo e sterminandone l’intera popolazione. Solo la famiglia dell’ebreo Lot, che aveva ospitato gli angeli inviati dal Signore e li aveva protetti da coloro che volevano abusarne, poté salvarsi, anche se sua moglie, voltasi ad osservare la distruzione in corso, contravvenendo alle ingiunzioni degli angeli, fu trasformata in una statua di sale.

Nell’antichità questo racconto, nelle sue linee essenziali e magari sfrondato da ogni riferimento religioso, fu considerato del tutto verosimile: tanto Strabone, quanto Tacito, quanto Flavio Giuseppe ne parlano tranquillamente nelle loro opere, affermando anche che le rovine delle due località colpite erano ancora visibili al loro tempo.

Con l’avvento dell’Illuminismo e poi del Darwinisimo, la negazione di ogni veridicità in quanto narrato nell’Antico Testamento divenne praticamente un dogma, e l’intera vicenda fu semplicemente liquidata come un mito dalle finalità moralistiche, tanto più che ormai non restavano più tracce visibili delle due città, tra l’altro in una regione di difficile accesso per i viaggiatori europei. Persino chi tentò, come nel 1903 il reverendo Cheyne, di difendere l’attendibilità della storia, parlando di confusione tra inondazione e pioggia di fuoco, finì con il fornire ulteriori argomenti agli scettici inveterati.

Fu solo nel 1924 che una spedizione archeologica condotta da William Foxwell Albright riuscì a condurre una prima esplorazione nella zona di Bab ad-Dhraa, a sud-est del Mar Morto, ritrovando resti di  vasellame risalenti all’età del bronzo. Questo valse a dimostrare perlomeno che gli scrittori dell’epoca classica non si erano inventati nulla, ma scoperte ancora più eccezionali giunsero con l’inizio di vere campagne archeologiche, iniziate nel 1975, sotto la guida di Walter Rast e Thomas Schaub. Bab ad-Dhraa dimostrò di ospitare i resti di una città dell’età del bronzo antica (3100-2300 a.C.) molto estesa, dotata di grandi aree sacrali, di una cinta difensiva e di un’enorme necropoli composta da circa 20.000 tombe. Tali resti mostravano di aver subito una terribile devastazione a causa del fuoco e, cosa più sorprendente, il sito risultò esser stato del tutto abbandonato per almeno duemila anni. Precedenti e successive esplorazioni della regione circostante portarono alla scoperta di altri quattro insediamenti coevi di quello di Bab ad-Dhraa, e questo coincide sorprendentemente con quanto narrato nell’Antico Testamento, dove accanto a Sodoma e Gomorra, come detto sopra, sono nominate anche le città di Adma, Zeboim e Zoar; tutti e cinque i centri abitati sembrano aver subito lo stesso cataclisma che ne determinò la distruzione e l’abbandono.

Stabilita l’attendibilità del traumatico evento, resta da capire cosa possa averlo causato, a meno che non si voglia credere davvero che Dio si sia scomodato per punire peccatori non peggiori di tanti altri.

La geologa Dorothy Vitaliano ha fatto notare che la regione a sud-est del Mar Morto sorge su un enorme giacimento petrolifero, ed è attraversata da una delle più grandi faglie terrestri, considerata la continuazione  della Rift Valley. Un terremoto potrebbe aver provocato la fuoriuscita di gas naturale e bitume che, venuti a contatto con le lampade ad olio degli abitanti delle città, avrebbero suscitato un incendio di immani proporzioni.

Tuttavia altri due geologi, David Neev e K. O. Emery, hanno evidenziato che all’epoca in cui viene fatta risalire la distruzione di Sodoma e Gomorra tutto il Vicino Oriente subì stravolgenti mutamenti ambientali, venendo colpito da un evidente fenomeno di siccità, come riscontrato dall’enorme quantità di dolomite presente nel fondale marino del golfo di Oman per il periodo che si aggira intorno al 2200 a.C., proveniente dalle montagne della Turchia e dell’Iraq.

Le conseguenze di così traumatiche alterazioni climatiche ricaddero anche sulla sfera socio-politica di tutta l’area del Mediterraneo orientale, provocando profondi sconvolgimenti nelle civiltà dell’epoca: almeno trecento città della Turchia, tra le quali la Troia scoperta da Heinrich Schliemann,  furono abbandonate o caddero in preda alle fiamme; l’impero di Akkad, in Mesopotamia, collassò e cadde nell’anarchia, per poi finire preda dei barbari Gutei; in Egitto ebbe termine il periodo dell’Antico Regno, quello che aveva portato alla costruzione delle piramidi; in Grecia si passa dal periodo Antico Elladico II al III, con indizi di mutamenti violenti nella vita delle comunità. Anche il deserto del Sahara avanzò di molto verso il Nordafrica, occupando zone in precedenza ricche di acqua.

Da qui è nata l’ipotesi che intorno al 2300 a.C. un grosso meteorite o i frammenti di una cometa siano precipitati nell’area del Mar Morto, suscitando fenomeni tellurici e vulcanici su grande scala ed innescando il grande incendio che portò alla catastrofe descritta dalla Genesi. Un tale evento giustificherebbe tra l’altro la menzione della “pioggia di fuoco” fatta nel testo sacro. Il conseguente sollevamento di un’enorme massa di polveri potrebbe aver provocato i catastrofici mutamenti climatici evidenziati dalle prove geologiche ed archeologiche.

Lungi dall’essere una semplice favoletta dagli intendimenti moralistici, dunque, la storia di Sodoma e Gomorra potrebbe invece rivelarsi l’unica testimonianza giunta sino a noi di un evento catastrofico che colpì un’area molto più vasta del nostro pianeta.

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Informazioni su Roberto Conte 23 articoli
Nato a Taranto il 30/10/1966, laureato in Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Lecce, membro dell'Associazione Culturale ACSI/Prometeo Video Lab, autore del saggio storico-biografico "Giovanni delli Ponti, un d'Artagnan tarantino", edito nel 2012 da Scorpione Editrice. Appassionato di Criptozoologia, Archeologia e di tutto ciò che ha a che vedere con il mistero.

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