Iperborea: un’ipotesi identificativa

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Iperborea: un'ipotesi identificativa
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Tra le tante leggende che compongono la mitologia dell’antica Grecia, una che più di altre hanno affascinato gli studiosi di ogni epoca è quella degli Iperborei, misteriosa popolazione dell’estremo nord, legata particolarmente al culto di Apollo e che avrebbe intrattenuto relazioni amichevoli con gli Elleni.

Di essi parlano molti scrittori classici, ma quello che ne dà una descrizione più minuziosa e per così dire scientifica è lo storico Erodoto di Alicarnasso, nel quarto libro delle sue Storie, dove afferma che ogni anno giungevano a Delo, presso il tempio di Apollo, offerte inviate da quel popolo ed avvolte in paglia di grano. La prima volta esse furono portate da due fanciulle iperboree, chiamate Laodice ed Iperoche, scortate da cinque connazionali. Tuttavia le due ragazze morirono sull’isola greca ed i loro cinque accompagnatori non tornarono mai in patria, ragion per cui gli Iperborei affidarono le offerte successive ai loro vicini, chiedendo loro di passarle di volta in volta ad altre genti, sino a che non fossero giunte a Delo. In tal modo questi doni sacri compivano un lungo e tortuoso viaggio sino alle sponde dell’Adriatico, giungendo poi a Dodona e successivamente al golfo maliaco, a Caristo, a Teno ed infine a Delo.

Si è molto discusso sulla reale esistenza di una tale popolazione e sulla sua esatta ubicazione, e negli anni gran parte dei ricercatori, molti spinti dal desiderio di dimostrare che essa costituisse la matrice della tanto mitizzata “razza ariana”, hanno indicato come suo luogo di origine la Scandinavia, le Isole Britanniche o addirittura l’Islanda, che in realtà rimase disabitata sino all’approdo di avventurosi eremiti irlandesi nell’Alto Medio Evo. Tuttavia nulla, nelle parole di Erodoto, lascia intendere che gli Iperborei abitassero delle terre poste tanto ad occidente.

Nel breve quadro che lo storico di Alicarnasso fornisce sugli abitanti dell’Europa orientale nel quarto libro delle sue Storie, egli elenca le varie genti spostandosi da sud verso nord e da ovest verso est, avendo come punto di partenza le colonie elleniche situate sulle coste settentrionali del Mar Nero. Seguendo il suo schema, dunque, sarebbe logico arrivare alla conclusione che gli Iperborei, se davvero esistettero, dovessero essere stanziati nell’estremo nord siberiano, lungo le sponde del Mar Glaciale Artico. Tale conclusione sarebbe ulteriormente rafforzata se si prendesse in considerazione la figura di Abari, semileggendario guaritore appartenente a quel popolo, le cui caratteristiche ricordano fortemente gli sciamani delle tribù nomadi della Siberia.

L’unico ostacolo a questa possibilità era costituito sino a poco tempo fa dall’assenza in quel territorio dei segni di una qualche civiltà abbastanza evoluta da poter aver dato origine alla leggenda circolante tra gli Elleni, ma alcune scoperte archeologiche piuttosto recenti sembrano aprire nuove prospettive a questo riguardo.

Al largo del golfo di Onega, nella parte di ponente del Mar Bianco, 164 km. a sud del Circolo Polare Artico, si trova l’arcipelago delle Solovetsky, formato da una settantina di isole: sulle sei più grandi di queste ultime (Bolshoy Solovetsky, Anzer, Bolshaya Muksalma, Malaya Muksalma, Bolshoy Zayatsky e Malaya Zayatsky) sono stati ritrovati numerosissimi reperti archeologici, risalenti ad un periodo che si estende all’incirca dal 6000 al 1300 a.C.. Successivamente le isole sembrano essere state del tutto abbandonate sino al I secolo d.C., quando vennero rioccupate da pescatori appartenenti alle tribù indigene della zona.

I resti di origine antropica rinvenuti sull’arcipelago vanno da semplici incisioni rupestri e petroglifi, a grandi massi posti in equilibrio su alcune piccole pietre, che vengono chiamati seids, ad elaborati labirinti, anche di notevole dimensione, a mucchi di terra e pietre disposti in regolari file parallele. Questi ultimi reperti, in particolare, hanno mostrato di essere posizionati secondo allineamenti in concordanza con i punti di levata e di tramonto di alcuni astri. Ciò indica che chi li eresse aveva una conoscenza astronomica piuttosto approfondita, e quest’ultimo aspetto trova rispondenza nelle parole di un altro storico ellenico, Diodoro Siculo, che afferma che il dio Apollo arrivava ad Iperborea ogni diciannove anni, cioè quando si compiva il periodo di tempo in cui gli astri riprendevano la stessa posizione nel cielo.

Gli autori di tali costruzioni appartenevano alla cosiddetta “cultura del Mar Bianco”, portata da genti che giunsero in questa zona intorno al 3000 a.C. e che prosperarono sino al 1300 a.C., quando scomparvero o emigrarono all’improvviso per motivi non ancora chiari.

A molti potrebbe sembrare inverosimile che in epoche tanto remote popolazioni così lontane come gli Elleni ed i misteriosi abitanti delle Solovetsky potessero intrattenere relazioni costanti, ma in realtà contatti, almeno economici, tra genti diversissime e distantissime tra loro non erano affatto impossibili neanche allora: basti pensare alla famosa “via dell’ambra”, che permetteva a questa resina di giungere dalle sponde del Baltico sino addirittura all’Egitto, ed il cui percorso ricalca parzialmente quello descritto per le offerte degli Iperborei.

In conclusione, tenendo conto che le tombe di Iperoche e Laodice sono state identificate dagli archeologi con due sepolcri risalenti all’età micenea (dunque approssimativamente ad un periodo tra il XV ed il XII secolo a.C.), si potrebbe ipotizzare che gli Iperborei stabilirono dei rapporti religiosi con i Deli in piena età del bronzo. In seguito, o migrarono dalle Solovetsky in qualche altra zona della Siberia, continuando ad inviare le loro offerte all’isola greca, o scomparvero dalla storia, ma la tradizione dei loro sacri doni annuali venne perpetuata a loro nome da altre popolazioni attraverso lo stesso percorso (le offerte degli Iperborei a Delo continuarono ad essere regolarmente registrate sino al IV secolo a .C.).

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Informazioni su Roberto Conte 23 articoli
Nato a Taranto il 30/10/1966, laureato in Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Lecce, membro dell'Associazione Culturale ACSI/Prometeo Video Lab, autore del saggio storico-biografico "Giovanni delli Ponti, un d'Artagnan tarantino", edito nel 2012 da Scorpione Editrice. Appassionato di Criptozoologia, Archeologia e di tutto ciò che ha a che vedere con il mistero.

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