Input sensoriali dell’olfatto nella percezione degli odori

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Decodificato il linguaggio neurale degli odori. Tecniche di intelligenza artificiale permettono di decodificare gli schemi di segnali neurali associati alla percezione degli odori e di usarli per ingannare il cervello. Lo dimostra uno studio, che ha indotto alcuni topi di laboratorio a percepire un odore virtuale.

Il linguaggio che il cervello usa per percepire gli odori può essere compreso e almeno in parte riprodotto con tecniche di intelligenza artificiale: lo ha dimostrato un gruppo di ricercatori dell’Istituto italiano di tecnologia (IIT) e della New York University, che è riuscito a trasmettere al cervello di topi di laboratorio un odore virtuale, che non corrisponde ad alcuna sostanza presente nell’ambiente.

Microfotografia di neuroni optogenetici (©Riccardo/Beltramo/IIT) 
Microfotografia di neuroni optogenetici (©Riccardo/Beltramo/IIT)

Il risultato, illustrato in un articolo su “Science” si deve a un algoritmo di apprendimento automatico, sviluppato dal Laboratorio di computazione neurale dell’IIT coordinato da Stefano Panzeri, che riesce registrare e interpretare i complessi schemi di attività del bulbo olfattivo, la regione cerebrale che elabora gli stimoli odorosi, in particolare delle strutture chiamate glomeruli.

Una volta addestrato questo algoritmo, gli autori hanno provato a “parlare” lo stesso linguaggio del cervello: l’idea era elaborare per via matematica un odore virtuale, e trasmetterlo a un cervello per verificare se venisse percepito come reale. L’occasione è stata fornita da topi di laboratorio della New York University, ingegnerizzati con tecniche di optogenetica. Queste tecniche permettono di attivare specifiche aree cerebrali con opportuni segnali di luce.

Gli autori hanno addestrato i topi a riconoscere un segnale generato dall’attivazione optogenetica di sei glomeruli, secondo uno schema evocato da un odore, permettendo loro di bere premendo una leva, ma solo quando percepivano un “odore” prestabilito. Se i topi spingevano la leva dopo l’attivazione di un diverso insieme di glomeruli, che simulavano un odore diverso, non ricevevano acqua.

Con questo addestramento, i ricercatori hanno variato l’insieme di glomeruli e la sequenza temporale con cui venivano attivati. Hanno così scoperto che cambiare quale dei glomeruli all’interno di ogni insieme definito di odori veniva attivato per primo ha portato a un calo del 30 per cento della capacità di un topo di percepire correttamente un segnale di odore e di ottenere acqua.

I dati così ottenuti dimostrano che l’algoritmo permette di produrre caratteristiche neurali spaziali e temporali chiave che, una volta combinate, rappresentano una sorta di codice di come il cervello converte gli input sensoriali nella percezione di un odore.

“Il nostro gruppo ha fornito gli strumenti matematici per decodificare il codice neurale, generando una formula matematica che spiega come il cervello combina l’attività dei neuroni del sistema olfattivo per produrre le sensazioni”, ha spiegato Panzeri. “Lo studio dimostra per la prima volta come l’alfabeto del cervello combina e organizza la sequenza temporale dell’attivazione di diversi gruppi di neuroni posizionati in diverse parti del cervello, come l’alfabeto scritto o quello musicale combinano in una sequenza temporale diverse lettere o note per generare il significato di una frase o il piacere di una canzone”.

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