Il Superuniverso è derivato dalle fluttuazioni quantistiche

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La prova matematica sull’origine ‘spontanea’ dell’Universo. I cosmologi ritengono che le fluttuazioni quantistiche abbiano permesso all’Universo di emergere spontaneamente dal nulla. Oggi, essi hanno la prova matematica che supporterebbe tale idea.

Una delle teorie più grandi della moderna cosmologia afferma che l’Universo sia emerso da un Big Bang. Non si tratta solamente di una idea ma di un modello scientifico, detto Lambda-CDM, che è supportato da numerose evidenze osservative. Per iniziare, abbiamo la radiazione cosmica di fondo, una sorta di eco primordiale della grande esplosione iniziale. Poi, l’altra evidenza è data dall’espansione cosmica (accelerata) che se viene immaginata a ritroso nel tempo ci porta ad una origine dell’Universo basata sull’idea del Big Bang. Inoltre, l’abbondanza degli elementi primordiali (nucleosintesi), come l’elio-3, l’elio-4, il deuterio e così via, possono essere derivati dalla teoria. La domanda è: che cosa ha causato il Big Bang? Per diversi anni, gli scienziati si sono basati sull’idea secondo cui l’Universo sia emerso spontaneamente dal nulla, cioè che il Big Bang sia stato il prodotto di fluttuazioni quantistiche da cui si è originato tutto ciò che vediamo. Ciò è plausibile, dato che conosciamo la meccanica quantistica ma i fisici hanno bisogno ancora di qualcosa d’altro, ossia di una prova matematica che supporti l’idea.

Oggi, grazie al lavoro di Dongshan He, Dongfeng Gao e Qing-yu Cai del Wuhan Institute of Physics and Mathematics, in Cina, i fisici sono arrivati alla prima, rigorosa prova matematica secondo cui il Big Bang possa essere avvenuto spontaneamente a causa delle fluttuazioni quantistiche. La prova si basa su un insieme particolare di soluzioni di una entità matematica nota come l’equazione di Wheeler-DeWitt. Nella prima parte del 20° secolo, i cosmologi hanno tentato di unificare la meccanica quantistica e la relatività generale, i due pilastri della fisica moderna, in modo da formulare una teoria che permettesse di descrivere unicamente i fenomeni della natura. Nonostante vari tentativi, le due teorie non sembrano riconciliabili.

I risultati, però, arrivarono negli anni ’60 quando i fisici John Wheeler e Bryce DeWitt combinarono queste idee precedentemente incompatibili in un quadro matematico noto, appunto, come equazione di Wheeler-DeWitt. Il lavoro di Dongshan e colleghi parte da questa equazione esplorando nuove soluzioni a partire dal principio di indeterminazione di Heisenberg. Ciò permette ad una piccola porzione di spazio vuoto di emergere, da un punto di vista probabilistico, a causa delle fluttuazioni quantistiche, dando luogo ad un “falso vuoto metastabile”. Quando ciò avviene, ci sono due possibilità: se questa bolla di spazio non si espande rapidamente, essa scompare di nuovo quasi istantaneamente; se, invece, la bolla di spazio si espande fino a raggiungere una dimensione abbastanza grande, allora si crea un universo in modo irreversibile.

Il problema è se ciò è permesso dall’equazione di Wheeler-DeWitt. “Abbiamo provato che una volta creata una piccola bolla di vuoto vero, esiste una certa probabilità che essa si espanda esponenzialmente”, spiega Dongshan. Il loro approccio è quello di considerare una bolla sferica che sia interamente descritta dal suo raggio. Poi, gli scienziati derivano l’equazione che descrive il tasso con cui si espande questo raggio. Infine, essi considerano tre scenari relativi alla geometria della bolla, cioè se essa è chiusa, aperta o piatta. In ciascuno dei casi, i fisici trovano una soluzione in cui la bolla si può espandere esponenzialmente fino a raggiungere una dimensione tale da formare un nuovo universo, ossia un big bang.

Un fattore importante nei modelli attuali che descrivono l’Universo è la costante cosmologica, che che descrive la densità di energia dello spazio vuoto. Essa venne introdotta inizialmente da Albert Einstein nel 1917 nella sua teoria della relatività generale e poi abbandonata dopo la scoperta di Edwin Hubble sull’espansione dell’Universo. Fino agli anni ’90, gli astronomi assumevano che la costante cosmologica fosse zero. Ma più recentemente, i cosmologi hanno trovato delle evidenze osservative che “qualcosa” sta causando l’accelerazione dell’espansione cosmica, il che implica che la costante cosmologica non può essere zero. Ci si chiede, dunque, chi gioca il ruolo della costante cosmologica nella teoria di Dongshan, Gao e Cai?

Sorprendentemente, essi introducono una quantità, nota come potenziale quantistico, che fa le veci della costante cosmologica nelle nuove soluzioni matematiche. Questo termine deriva da una teoria, chiamata “onda pilota”, che venne sviluppata durante la metà del 20° secolo dal fisico David Bohm. La teoria, detta anche meccanica bohmiana, riproduce tutte le previsioni della meccanica quantistica ma al prezzo di accettare un termine aggiuntivo, che è, appunto, il potenziale quantistico. Inoltre, la teoria rende la meccanica quantistica interamente deterministica poiché il potenziale quantistico può essere usato per determinare alcuni parametri quali la posizione di una particella.

Tuttavia, la maggior parte dei fisici non hanno preso in considerazione l’idea di Bohm poiché le sue previsioni sono identiche a quelle della versione tradizionale della teoria, per cui non c’è bisogno di alcun esperimento che le possa discriminare. Ma ciò forza i fisici ad accettare una spiegazione probabilistica della realtà, qualcosa di cui essi sono comunque felici di accettare. Comunque sia, il fatto che il potenziale quantistico sia un termine necessario da introdurre in queste nuove formulazioni matematiche che descrivono l’origine dell’Universo rappresenta qualcosa di affascinante. Forse, è arrivato il momento di dare un’altra ‘occasione’ alle idee di Bohm.

The Physics arXiv Blog: A Mathematical Proof That The Universe Could Have Formed Spontaneously From Nothing
arXiv: Spontaneous creation of the universe from nothing
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