La tigre dai denti a sciabola è forse il mammifero preistorico più noto e per così dire popolare insieme al mammuth. Per diversi millenni costituì uno degli avversari più formidabili dei nostri antenati, ma alla fine si estinse a causa soprattutto della concorrenza dei moderni felini. O almeno, così sembrerebbe.
Infatti, secondo alcuni criptozoologi, questo animale sarebbe riuscito a sopravvivere in alcune parti dell’Africa, adattandosi ad un ambiente del tutto nuovo rispetto alle sue abitudini primigenie: l’acqua.
L’ipotesi può sembrare azzardata, forse anche assurda, eppure in molti territori del Continente Nero circolano storie su animali dai nomi diversi, ma le cui caratteristiche sono assolutamente simili, lasciando supporre che si tratti di un’unica specie frequentante i fiumi ed i laghi di un’ampia zona che si estende dall’Angola al Kenya e dalla Repubblica Centrafricana allo Zambia.
A parte le tante testimonianze raccolte dagli indigeni, che nel nostro inveterato eurocentrismo potremmo considerare non attendibili, esistono diverse segnalazioni da parte di esploratori e cacciatori bianchi su questa curiosa e misteriosa belva.
Nel 1907 l’inglese John Alfred Jordan scorse nel mezzo del fiume keniano Maggori un grosso animale lungo cinque metri e mezzo, dalla testa grande come quella di una leonessa, il dorso squamoso, ma maculato come quello di un leopardo, una coda che definì “natatoria” ed un paio di grandi zanne che spuntavano fuori dalle mascelle superiori. Jordan sparò e la bestia fuggì sott’acqua. Nella regione questo mostro è noto sotto il nome di dingonek, e si dice che cacci ippopotami, coccodrilli ed altri animali acquatici.
Un anno dopo l’esploratore tedesco Hans Schomburgk raggiunse il lago Bangweulu, nell’attuale Zambia, e raccolse testimonianze circostanziate su un animale anfibio, chiamato chipekwé (pantera d’acqua), peloso e dotato di due lunghe zanne, che era solito assalire ed uccidere gli ippopotami.
Quest’ultima caratteristica rispecchia alla perfezione le abitudini del coje ya menia (leone d’acqua), abitante i corsi d’acqua dell’Angola, che tuttavia sembra che non mangi le sue prede, limitandosi forse a succhiarne il sangue. Questo caso venne studiato nel 1947 dal professore tedesco Ingo Krumbiegel, che raccolse le testimonianze della connazionale Ilse von Nolde, vissuta molti anni nell’Alto Curanza. Sono stati ritrovati diversi corpi di ippopotami squarciati da lunghe ferite, ed accanto a loro strane impronte di una bestia che sembrerebbe muoversi sul dorso di zampe munite di artigli.
Più a nord, nella Repubblica Centrafricana, sono diffuse le storie di avvistamenti di mourou n’gou (ancora pantera d’acqua), animali anfibi grandi quanto un leopardo, con una pelliccia ocra punteggiata da macchie blu e bianche e le immancabili zanne ricurve; caccerebbero in coppia, con un esemplare che spingerebbe le prede nell’acqua, dove l’altro resterebbe in agguato. Uno degli ultimi avvistamenti di queste bestie avvenne nel febbraio del 1985, e nel 1994-1995 venne condotta una breve spedizione alla loro ricerca.
Da notare che nelle vicinanze, nella regione ciadiana dell’Ennedi, è segnalata la presenza di animali la cui descrizione si adatta perfettamente a quella delle tigri dai denti a sciabola, che però non avrebbero abitudini acquatiche, chiamati gassingram o vassoko.
Per finire, c’è da segnalare che a Brakfontein ridge, nel Sudafrica occidentale, esiste una caverna le cui pareti vennero dipinte in tempi preistorici con rappresentazioni di vari animali; tra di essi è possibile notare una creatura acquatica, dal dorso maculato e con due grandi zanne che spuntano fuori dalle mascelle superiori.
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