Il faro di Eilean Mor

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Faro di eilean mor
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Circa 20 miglia ad ovest dell’isola di Lewis, la più grande delle Ebridi, in Scozia, si trovano le cosiddette Seven Hunters, grossi scogli aridi e rocciosi, chiamate anche Isole Flannan, dal nome di un vescovo di Killaloe del VII secolo, in seguito canonizzato. Costui, in tarda età, si ritirò in questo luogo solitario e costruì sul più grande di questi isolotti, chiamato Eilean Mor, una cappella, vivendo poi lì come un eremita sino alla sua morte.

Questi scogli costituirono sempre un grande pericolo per le navi mercantili dirette in Scozia e Scandinavia, e fu del tutto naturale che per porvi rimedio il governo britannico decidesse nel 1899 di erigere su Eilean Mor un faro e due banchine per facilitare l’approdo dei natanti, lavori che furono completati a dicembre.

I quattro marinai incaricati della custodia del faro si chiamavano Joseph Moore, Thomas Marshall, Donald McArthur e James Ducat, tutti uomini di provata esperienza: ogni quindici giorni la nave Hesperus approdava ad Eilean Mor portando viveri e posta e ripartiva con uno dei quattro guardiani, che così poteva godere di due settimane di riposo.

Per quasi tutto il 1900 le cose sembrarono andare avanti in tutta tranquillità, ma in seguito Moore ricordò che lui ed i suoi colleghi avvertivano spesso una strana sensazione di disagio: probabilmente si trattava di un fatto del tutto naturale per chi era costretto a vivere ininterrottamente per sei settimane su uno spuntone di terra largo al massimo 175 metri e completamente circondato da un mare spesso squassato dai venti, e forse gli eventi successivi ingigantirono il ricordo di questa spiacevole percezione.

Il 21 dicembre, come previsto, l’Hesperus salpò per le Seven Hunters, portando con sé Joseph Moore, di ritorno dal suo turno di riposo, ma a causa di una tempesta improvvisa per tre giorni non riuscì ad allontanarsi dalla costa scozzese, ed anche quando potè farlo restò al largo degli isolotti, bloccata dal mare grosso, per altre due giornate: in questa occasione i membri dell’equipaggio si resero conto che dal faro non proveniva alcuna luce ed iniziarono a temere che qualcosa non stesse andando per il verso giusto.

Il 26 dicembre finalmente il mare si quietò e la nave potè avvicinarsi ad Eilean Mor, ma nessuno rispose ad un razzo di segnalazione ed al suono della sirena. L’Hesperus riuscì ad attraccare con qualche difficoltà, dato che non c’era nessuno a raccogliere la cima, poi Moore si precipitò verso la costruzione per scoprire che fine avessero fatto i suoi compagni. Trovò il cancello del recinto esterno chiuso e dovette perciò entrare dalla porta della cucina; all’interno il camino era spento da tempo, gli orologi erano fermi, i letti dei tre custodi erano sfatti e sul tavolo c’era ancora un piatto con dentro dello stufato.

Un’ulteriore ispezione compiuta dallo stesso Moore e da due altri marinai rivelò che gli stoppini del faro erano stati puliti e le lenti lucidate, anche se la copertina che si metteva per protezione durante il giorno non era stata tolta.

Inoltre risultarono mancanti le cerate e gli stivali di Marshall e Ducat, mentre quelli di McArthur erano al loro posto. Le ricerche condotte sull’isolotto non portarono a nulla, se non alla scoperta che uno dei due moli, quello occidentale, aveva le ringhiere piegate; lo stesso fu riscontrato nel caso di una gru, che era stata incurvata in più punti, con le funi intrecciate tra loro.

Alla fine Moore si ricordò del registro ufficiale e lo trovò al suo solito posto: recava annotazioni sino al 15 dicembre, ma le ultime note erano piuttosto oscure e vagamente inquietanti, ed erano state scritte da Marshall, e non da Ducat, che come guardiano principale avrebbe dovuto avere quel compito. Per il 12 era annotato: “Vento di tempesta da nord-nordovest – mare molto agitato. Siamo bloccati – 9 p.m.: mai vista una burrasca simile. Onde altissime scuotono il faro. Tutto in ordine. Ducat è nervoso – 12 a.m.: La tempesta continua. Il vento è costante. Siamo sempre bloccati. E’ passata una nave suonando la sirena. Si potevano vedere le luci delle cabine. Ducat è tranquillo. McArthur sta piangendo.” . Per la giornata successiva Ducat aveva scritto: “La tempesta è continuata per tutta la notte. Il vento soffiava ad ovest, da nord. Ducat è tranquillo. McArthur prega. – 12 a.m.: Giornata grigia. Io, Ducat e McArthur abbiamo pregato.”. Per il 14 non c’era nessuna segnalazione, mentre per il 15 si poteva leggere l’ultima annotazione: “1 p.m.: Il temporale è cessato. Il mare è calmo. Dio veglia su tutto.”.

Quanto riportato nel diario lasciò gli inquirenti piuttosto perplessi, soprattutto perché nella zona del faro non c’erano state tempeste sino al 17 dicembre; sembrò altrettanto singolare che tre uomini di mare esperti e coraggiosi fossero caduti preda di una così profonda angoscia a causa di un fortunale, per quanto violento potesse esser stato.

L’unico elemento abbastanza certo di tutta la vicenda fu che la scomparsa dei guardiani fosse avvenuta il 15, poiché in quella data, verso notte, il piroscafo Archtor era passato nei pressi dell’isola, ma aveva visto il faro spento.

Il sovrintendente del Northern Lighthouse Board, Robert Muirhead, incaricato dell’inchiesta sui fatti, giunse alla conclusione che due dei tre custodi fossero usciti con le cerate per assicurare una cassa che conteneva le cime di attracco; l’uomo rimasto nell’edificio, presumibilmente McArthur, si sarebbe accorto di un’enorme onda che stava per abbattersi sul faro e si sarebbe precipitato all’esterno senza avere il tempo di indossare il suo impermeabile per allertare i colleghi, ma sarebbero stati tutti colpiti dall’onda, alta più di 34 metri, che li avrebbe trascinati in mare aperto, danneggiando anche il molo occidentale.

Tuttavia questa spiegazione, razionalmente l’unica accettabile, non chiariva tutti gli elementi misteriosi di queste sparizioni (primo fra tutti, l’assenza di tempeste nella zona per i giorni cui si riferivano le annotazioni di Marshall), e negli anni successivi abbondarono supposizioni di ogni tipo. Si ipotizzò che uno dei tre custodi fosse impazzito, avesse ucciso gli altri due e poi si fosse suicidato, che gli uomini fossero stati rapiti o eliminati da agenti segreti stranieri (ma a quale scopo?) o da alieni, o che fossero stati attaccati ed uccisi da un enorme mostro marino.

Gli abitanti delle vicine Ebridi, comunque, la pensavano diversamente: secondo loro le isole Flannan erano da sempre infestate da strane presenze, creature provenienti da un altro mondo, appartenenti al cosiddetto Sidhe, il popolo della collina o il cosiddetto piccolo popolo: i pochi temerari che talvolta giungevano su quegli scogli sperduti per raccogliere uova di uccelli marini o per far pascolare le loro pecore stavano ben attenti a compiere precisi rituali, come togliersi i cappelli e volgersi verso il sole dopo essere sbarcati. Inoltre, nessuno rimaneva lì dopo il calare delle tenebre.

Negli anni successivi, alcuni dei nuovi guardiani del faro asserirono di udire talvolta nel vento una voce che urlava i nomi degli scomparsi, ma potrebbero essersi lasciati suggestionare proprio dalle storie che avevano ascoltato dagli altri isolani.

Probabilmente non si riuscirà mai a giungere a una spiegazione pienamente convincente di questa vicenda, e il mistero del faro di Eilean Mor continuerà a rimanere tale, uno dei tanti enigmi custoditi gelosamente dalle acque del mare, universo ancora largamente ignoto ed inesplorato.

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Informazioni su Roberto Conte 23 articoli
Nato a Taranto il 30/10/1966, laureato in Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Lecce, membro dell'Associazione Culturale ACSI/Prometeo Video Lab, autore del saggio storico-biografico "Giovanni delli Ponti, un d'Artagnan tarantino", edito nel 2012 da Scorpione Editrice. Appassionato di Criptozoologia, Archeologia e di tutto ciò che ha a che vedere con il mistero.

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