Vendere i propri dati genetici grazie alla blockchain

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Il Dna al mercato: i dati genetici scambiati in cambio di soldi. «Per troppo tempo, le aziende che offrono test genetici hanno chiesto ai loro clienti di cedere i loro preziosi dati genomici, e poi li hanno venduti a loro insaputa – ha detto Kamal Obbad, Ceo e co-fondatore della startup americana Nebula Genomics in una intervista a TechCrunch – Vogliamo cambiare questo mercato e far sentire le persone a proprio agio riguardo il sequenziamento del proprio genoma, consentendo la condivisione dei dati in modo sicuro, trasparente ed equo».

L’idea di creare una piattaforma di analisi e condivisione dei dati genetici che si basa sulla blockchain – tecnologia alla base delle criptovalute – è venuta al socio di Obbad, il noto genetista di Harvard George Church, che non solo dice di offrire un contratto più trasparente, ma aggiunge una ricompensa in crediti digitali (token) a coloro che consentono a terze parti di accedere ai propri dati.

La domanda da parte di ricercatori, università o industria farmaceutica non rappresenta infatti un problema, dal momento che le biotecnologie che si basano sulla genetica rappresentano da anni una delle nuove frontiere della medicina. E le collaborazioni tra 23endMe e la Genentech di Roche nel 2015 per combattere il Parkinson, o il più recente accordo da 300 milioni di dollari con Gsk, per cercare di capitalizzare la ricchezza di dati, lo confermano. Resta da capire se le novità promesse da Nebula (offerte anche da altre due compagnie, Zenome e Dnatix) sono davvero un passo in avanti in tema di garanzie e tutele.

«Con il meccanismo della blockchain si dà la possibilità all’interessato di essere prima di tutto informato nel caso in cui ci siano delle richieste di accesso ai suoi dati da parte di terzi, e il soggetto può rifiutare o acconsentire – spiega l’avvocato Laura Liguori, socio dello studio legale Portolano Cavallo ed esperta di privacy -. Per contro, proprio la tracciabilità che garantisce trasparenza e controllo potrebbe confliggere con le esigenze di riservatezza». Però, l’offerta di una ricompensa potrebbe tentarci e spingerci a cedere la nostra varietà genetica.

«La questione del compenso in cambio dei dati è più controversa – precisa Elisa Stefanini, counsel di Portolano Cavallo – Ottenere dei gettoni in cambio di servizi ulteriori, che potrebbero addirittura essere convertiti in dollari veri, è un passaggio più critico da un punto di vista etico. Sdoganare la monetizzazione del dato genetico, che è anche un campione biologico, è qualcosa di dirompente, che a oggi non è regolato. Il nostro ordinamento, per esempio, vieta il commercio ma non la donazione di parti e organi del nostro corpo. Se si introduce questo tipo di commercio, ovvero dato genetico come merce di scambio, va anche regolamentato, perchè gli interessi in gioco sono elevati». Quindi, chi aderisce a questi programmi di marketing online dei dati genetici deve essere consapevole che la tecnologia blockchain può sì agevolare l’applicazione dei principi di trasparenza e controllo, ma sganciata da regole giuridiche si presta ad abusi o utilizzi illeciti. Ne vale la pena?

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