Scoprirono a Urbino la molecola anti tumore, la storia dei due professori ancora senza finanziamenti. Si sono incontrati a Urbino e qui hanno dato vita a una collaborazione che ha portato a risultati molto promettenti: una molecola che può indurre al “suicidio” le cellule tumorali. La sperimentazione però procede a rilento, i fondi scarseggiano e quella che in principio poteva essere una scoperta sensazionale, si va perdendo giorno dopo giorno nell’attesa del finanziamento giusto. È la storia di Vieri Fusi, chimico fiorentino di 55 anni, e Mirco Fanelli, patologo originario di Falconara Marittima di 47 anni, due ricercatori della Carlo Bo diventati prima colleghi e poi amici. Il primo ottimista, tifoso della Fiorentina, allegro come i toscani sanno essere; il secondo gioviale, “rompiscatole “di natura (almeno a detta del collega) e tifoso dell’Inter. Diversi, ma uniti dall’incrollabile certezza che quella intrapresa fosse la strada giusta: la ricerca.
“Abbiamo iniziato nel 2008 – dice il prof. Fusi – nel Consiglio di laurea di Biologia a Urbino. Ci siamo trovati subito: eravamo tra i pochi che dicevano sempre quello che pensavano. E così un giorno ci siamo detti: ‘perché non fare qualcosa insieme?’ Nel mondo accademico si parla molto di sinergie, ma quando nasce un piccolo progetto muore quasi all’istante. Nell’Accademia italiana, e non lo diciamo solo noi, ognuno pensa al proprio orticello ed è complicato iniziare a cooperare per un obiettivo comune. Noi abbiamo messo da parte i timori di poter perdere qualcosa del nostro “orto” , facilitati dal provenire da ambiti scientifici diversi, e ci siamo uniti. L’unione fa la forza no?”
Da Firenze al Montefeltro. Fusi a Urbino ci è arrivato quasi per caso: “Ho studiato a Firenze, nel gruppo del professor Francesco Paoletti. Mi occupavo di risonanza magnetica nucleare (NMR), ma dopo qualche tempo finì la convenzione con il Cnr per l’utilizzo di questo particolare strumento. Venni a sapere che qui c’era uno strumento analogo e così iniziai a fare la spola tra le due città. Prima per un giorno a settimana, poi per più tempo. Iniziai a tenere le prime lezioni e così, nel gennaio 1995, dopo aver fatto il Dottorato di Ricerca a Firenze, ho vinto il posto di Ricercatore qua ad Urbino”.
L’inserzione su “Nature” – Fanelli sfrutta il gancio dell’amico e gli chiede: “Sai dov’ero io nel gennaio ’95? Finivo il militare dopo essermi laureato a Camerino, non avevo un dottorato e lavoravo gratis, come molti di noi hanno fatto, ad Ancona. Lavoravo come cameriere nel fine settimana per mantenermi. In laboratorio un giorno aprii “Nature“, una delle più importanti riviste scientifiche. In fondo ci sono sempre gli annunci di posizioni aperte in tutto il mondo e lì trovai un’inserzione dell’Istituto nazionale tumori di Milano (INT) a cui risposi immediatamente. Ho fatto due colloqui a Milano, tra cui uno con il professor Pelicci, incontro che ha svoltato la mia vita. A Milano, tra le altre mille straordinarie esperienze positive, sono stato anche a un passo dall’espulsione perché accusato di aver rubato alcune fiale di anticorpi. Si scoprì alla fine, grazie al supporto del prof. Pelicci, che ognuno dei ricercatori (erano più di 100) si era fatto la propria riserva personale. Un’esperienza negativa ma, ripensandoci, mi ha insegnato molto. Finiti i cinque anni, ho fatto un anno di tecnico a Camerino e nel 2002 ho iniziato a Urbino come ricercatore: per me un sogno che diventava realtà”.
Due piccoli chimici – Un mondo, quello della ricerca scientifica, che li ha appassionati sin da piccoli. “Mi operai al setto nasale da bambino e mi feci regalare il piccolo chimico – dice Fanelli sorridendo – ripensando ai sacrifici (e al mio “naso”) mi fermo e dico: l’ho fatto diventare un mestiere, posso mantenere me e la mia famiglia. È un grande privilegio, non ci avrei mai scommesso vent’anni fa”. Un pensiero che condivide anche il prof. Fusi: “Ho sempre sognato di fare questo mestiere, anche se i miei genitori provengono da materie umanistiche. Mio padre diceva ‘la scuola media superiore ti lascia un sacco di tempo libero, riflettici’. Ma io non ne volevo sapere. Preferivo prendere 800mila lire al mese e fare il ricercatore, piuttosto che prenderne 1 milione e 600mila e insegnare a scuola”.
La molecola antitumorale – I due professori nel 2010 hanno scoperto le proprietà curative di alcune molecole ottenute mediante modificazione chimica del maltolo, che potrebbero essere utilizzate per lo sviluppo di nuove terapie perché inibiscono e combattono lo sviluppo dei tumori: in gergo scientifico con attività antineoplastica, attraverso un’azione che può portare addirittura all’autodistruzione e al ‘suicidio’ delle cellule tumorali.
Avanti, nonostante tutto – Peccato che per la sperimentazione manchino i finanziamenti e quelli che ci sono bastano a stento per portare avanti il progetto. Di chi è la colpa? “Non saprei dirti di chi è la colpa, so che abbiamo avuto molte porte in faccia – ammette Fanelli – forse non siamo molto simpatici o non sappiamo vendere bene ciò che abbiamo (ridono entrambi ndr). Abbiamo ottenuto anche un brevetto negli Usa, ma la sperimentazione procede a rilento. Io, ad esempio, non compro strumenti da dieci anni, e quelli che ho comprato sono piccole strumentazioni. Utilizzo ancora molti di quelli usati, donatici dall’istituto Europeo di Oncologia. Trovare le risorse per pagare le persone e per andare avanti con la ricerca è complicatissimo”.
Chi parte e chi resta – Difficile partire, ma ancor più difficile restare tra le mille difficoltà. “Ci sono persone bravissime che lavorano con noi oggi – dicono entrambi – ricercatori giovani e bravi come Stefano Amatori ed Eleonora Macedi, “ragazzi” di 37 anni che sono ancora precari e vanno avanti con la borsa di studio”. E chi parla di fuga di cervelli? “Verissimo, perdiamo gente bravissima ogni anno, ma la gente che resta in Italia è altrettanto encomiabile. Resta qui e affronta difficoltà enormi; una recente indagine mette l’Italia al primo posto al mondo per produttività nel rapporto tra risorse investite e risultati raggiunti. Se non ce l’hai dentro non lo fai, è un mestiere difficile e pieno di frustrazioni”.
Una scommessa vinta – Dopo anni di sacrifici, di lontananza dagli affetti e dalla famiglia, possiamo dire che avete avuto le vostre soddisfazioni? “La mia vita è a metà tra Urbino e Firenze, dove ritorno ogni fine settimana dalla mia famiglia – dice il prof. Fusi – è difficile stare lontano dagli affetti ma, detto ciò, è un compromesso accettabile”. Dichiarazioni che anche Fanelli condivide a pieno: “I miei genitori avevano la terza media, io ero considerato “il genio” della famiglia. Sono Originario di Falconara marittima e ricordo ancora che a scuola le maestre mi dicevano che ero appena sufficiente. Chi si sarà sbagliato? Mi piace pensare siano loro…”
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