Le biotecnologie, una risorsa incompresa in Italia

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Cresce il biotech in Italia. “Una rivoluzione frenata dal Paese”. Rapporto Assobiotec: 570 imprese, il 38 per cento esportano all’estero. “Settore vitale, ma investimenti non competitivi e aziende troppo piccole”A fine 2017 erano 570 le imprese biotech attive in Italia. Il Rapporto 2018 racconta che il 76% del comparto è costituito da aziende di dimensione micro o piccola, come da tradizione industriale italiana. Il fatturato totale è pari a 11,5 miliardi di euro, con un incremento del 12 per cento tra il 2014 e il 2016. Tre quarti è legato al biotecnologico sanitario, il 68% generato dalle imprese a capitale estero (che pure rappresentano solo il 13%o di quelle censite).

Sono 13 mila gli impiegati nel settore. Gli investimenti in ricerca biotech superano i 760 milioni, con una crescita del 22% sempre nel biennio. Nel corso del 2016, il 72% delle imprese si è autofinanziato, oltre il 40% ha avuto accesso a grants di vario genere, il 22% ha fatto ricorso al capitale di debito, soltanto il 6% ha potuto accedere a finanziamenti di venture capital. La quota di imprese esportatrici risulta in tendenziale aumento, in questi ultimi anni. “Il 38% delle imprese italiane sono esportatrici contro il 5% dell’industria italiana”. La Lombardia si conferma la prima regione per numero di imprese (sono 162, pari al 28% del totale), investimenti in ricerca e fatturato. Per numero di imprese seguono Lazio (58) ed Emilia Romagna (57).

Luca Benatti, del Comitato di presidenza Assobiotec, ha detto: “Le imprese che operano in Italia rappresentano un comparto di indiscussa eccellenza. I dati emersi confermano una buona produzione scientifica di base, ma dimensioni troppo piccole e che stentano a crescere. Il settore è vitale, gli investimenti in ricerca non sono competitivi. Grazie alle più moderne innovazioni biotecnologiche stiamo vivendo una rivoluzione che apre scenari inesplorati in settori chiave come salute, alimentazione, ambiente. Lo sviluppo rischia, però, di essere frenato da ritardi strutturali e culturali che compromettono la competitività del nostro Paese”. Ancora: “C’è la necessità e l’urgenza di progettare nuovi modelli di sostegno alla ricerca innovativa mettendo insieme istituzioni e imprese, pubblico e privato per far correre l’Italia all’interno e non ai margini di questo cambiamento globale. Serve una strategia nazionale a favore di innovazione e ricerca per permettere alle imprese di superare il limite di una dimensione troppo piccola”.

La fotografia conferma il primato, già riscontrato nelle precedenti rilevazioni, delle imprese che operano nel settore delle biotecnologie applicate alla salute dell’uomo: sono 295, il 52%o delle imprese italiane nel settore. Il comparto salute genera un fatturato di 8,5 miliardi. Sono 314 i progetti sviluppati nel ramo. Il biotech italiano investe fortemente su quelle patologie che non trovano risposte terapeutiche adeguate: in ambito oncologico, neurologico o a proposito delle malattie degenerative. Grandi investimenti sono indirizzati verso le malattie infettive e lo sviluppo di vaccini. Si legge nel rapporto: “Sulle malattie rare la ricerca accademica italiane vanta il maggior numero di pubblicazioni scientifiche. Di sei prodotti di terapia avanzata attualmente autorizzati al commercio in Europa, tre sono frutto della ricerca italiana”.

Nel settore industria e ambiente, ancora, sono 162 le imprese biotecnologiche, il 28% del totale. Con un fatturato di 2 miliardi di euro. Secondo stime Intesa Sanpaolo-Assobiotec, la bioeconomia in Italia nel 2016 ha prodotto per 260 miliardi di euro, corrispondenti all’8,3% sul totale dell’economia nazionale, in moderata crescita rispetto al 2015.

Sul fronte delle imprese che operano nell’area agricoltura e zootecnia in Italia, 50 sono le imprese biotech (il 9%). Il fatturato del settore sfiora i 900 milioni di euro. Un settore emergente è quello legato alla Genomica, Proteomica e delle Tecnologie abilitanti: 65 le imprese che lavorano in questo ambito, corrispondenti all’11%.

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