La mente viaggia nel tempo grazie allo storytelling

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In viaggio tra passato e futuro, così la mente riesce a creare storie. Uno studio italiano condotto su bambini autistici ha messo in relazione l’abilità dello storytelling con la nostra macchina del tempo mentale: una facoltà cognitiva che ci consente di proiettarci nel passato e nel futuro.

LE VIGNETTE sul tavolo sono scene della stessa storia. In una campeggia al centro una grande tinozza piena d’acqua e sapone, in parte finiti per terra. Accanto un papà con il figlio, completamente bagnati e piuttosto arrabbiati. Poco più in là mamma e figlia sorridono, mentre sullo sfondo fa capolino un cane dall’espressione furbetta. L’altra vignetta è vuota e tocca ai bambini riempirla. “Cos’è successo prima?”, chiedono i ricercatori. La risposta sembra scontata: il cane è scappato via durante il bagnetto, schizzando acqua e sapone tutto intorno.

Non tutti, però, la raccontano così. Per i bimbi autistici riavvolgere il nastro di una storia e recuperare i tasselli mancanti spesso si rivela impossibile. “I bambini autistici fanno spesso fatica a raccontare storie perché in loro è compromessa la capacità di viaggiare mentalmente nel tempo, immaginando scenari futuri e passati” spiega Francesco Ferretti, ordinario di Filosofia del linguaggio dell’Università Roma Tre, tra gli autori del primo studio che mette in relazione l’abilità tutta umana dello storytelling con la nostra ‘macchina del tempo mentale’. La ricerca è stata pubblicata su Frontiers in Psychology.

“Gli ostacoli che i bambini autistici incontrano quando raccontano una storia sono note in letteratura. Incontrano difficoltà nello sviluppare una narrazione coerente e a volte fanno fatica a immaginarsi in una situazione futura o passata: non è un carattere diagnostico, ma in alcuni si riscontrano problemi con i processi di proiezione temporale – spiega ancora Ferretti – Ci siamo chiesti allora se tra le due cose ci fosse una correlazione: la nostra capacità di viaggiare nel tempo con la mente è un requisito essenziale per raccontare una storia?”.

LA MACCHINA MENTALE DEL TEMPO
L’abilità di staccarsi dal qui e ora per proiettarsi nel passato o nel futuro è garantita, spiegano alcuni studi di scienza cognitiva, da una specifica facoltà mentale: il Mental time travel (Mtt). È un sistema composto da due abilità che consentono di recuperare ricordi dal passato – l’episodic memory – e di immaginare scenari futuri – l’episodic future thinking. Capacità che sarebbero connesse tra loro: i neuropsicologi hanno verificato che i soggetti con l’episodic memory compromessa fanno più fatica a immaginare esperienze future.

L’ESPERIMENTO
Lo studio – che ha coinvolto anche gruppi di ricerca dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e dell’università di Udine, guidati da Giovanni Valeri e Andrea Marini – ha confrontato le prestazioni tra 66 bambini autistici, un numero elevato per questo tipo di studi, con quelle di un gruppo di bambini a sviluppo tipico. L’esperimento è stato diviso in due fasi e le interviste ai bimbi autistici sono state condotte al Bambino Gesù.

Nella prima fase i ricercatori hanno verificato l’incidenza del deficit di proiezione temporale tra i bambini autistici. Nella prova, nota come picture book trip, si chiede ai bimbi di programmare un viaggio, verso quattro mete diverse, e di elencare cosa porterebbero con sé. “In un deserto – hanno chiesto ad esempio i ricercatori – cosa potrebbe tornarti utile? Una bottiglia d’acqua, un regalo o una pianta?”. Il 30 per cento dei bimbi autistici intervistati ha fallito il compito, mostrando difficoltà nell’immaginare scenari possibili e nel prevedere i propri bisogni in quei contesti.

Nella seconda parte dell’esperimento è stata invece indagata la possibile correlazione tra macchina del tempo mentale e storytelling. I bambini dovevano completare due storie, immaginando una conclusione – e proiettandosi così nel futuro – o un inizio, viaggiando a ritroso nel passato.

C’è un signore che cammina con un’aria un po’ svagata e davanti a sé ha un tombino. Nella scena successiva accanto al tombino c’è solo un cappello. Cos’è successo? I bambini autistici facevano fatica a costruire un racconto coerente, soprattutto quelli che nel pre-test si erano dimostrati incapaci di navigare nel tempo. Nelle loro storie il signore dall’aria svagata non finiva nel tombino, ma poteva trovarsi in un garage a costruire oggetti.

“Questi bambini nelle risposte tendevano a restare agganciati all’immagine che avevano davanti e si limitano a descriverla oppure raccontavano eventi scollegati” spiega Ferretti. Risultava ancor più faticoso per loro navigare all’indietro. Davanti alla scena del cane e del bagnetto, ad esempio, si fermavano e continuavano a descrivere quello che mostravano le vignette. “In questo caso gli eventi raccontati devono avere una connessione causale e il compito è più complesso” dice il docente di Roma Tre.

LE CONCLUSIONI
Lo studio, spiegano i ricercatori, aggiunge un tassello in più al modello con cui spieghiamo i deficit narrativi dei soggetti autistici e può aiutare a definire nuovi protocolli riabilitativi, in grado di compensare i meccanismi inceppati. Ma i risultati scavano anche dietro le nostre abilità di homo narrans. “Certo, attraverso le storie gli uomini possono estendersi nello spazio e nel tempo – dicono i ricercatori – Ma senza la capacità di viaggiare nel tempo, non sarebbero in grado di raccontare storie”.

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