
Scuole chiuse per covid: quali sono gli effetti a lungo termine? Lo studio delle passate chiusure delle scuole in seguito a disastri naturali ed epidemie fa luce sulle conseguenze che questa misura avrà sui ragazzi.
Mai nella storia moderna il mondo era stato colpito da una così estesa pandemia, e mai era capitato che 1,3 miliardi di studenti perdessero contemporaneamente interi mesi di scuola. Quali conseguenze avrà la chiusura delle aule su bambini e ragazzi? Quanto tempo ci vorrà affinché gli effetti delle classi vuote, della difficile didattica a distanza e dell’isolamento dai compagni siano assorbiti, e quindi superati?
CHE COSA È ACCADUTO IN PASSATO. I precedenti a cui guardare – come spiega un articolo sulla versione statunitense di Wired – sono soprattutto le chiusure delle scuole avvenute dopo disastri naturali come uragani, incendi e terremoti. Si tratta di situazioni molto diverse dai lockdown che abbiamo vissuto, anche perché, spesso, quelle interruzioni sono state accompagnate da evacuazioni obbligate e dalla necessità di cambiare zona e scuola.
I segnali che arrivano da queste situazioni sono poco incoraggianti. Nel 2005, l’uragano Katrina distrusse le case di 372.000 studenti e cancellò un centinaio di scuole pubbliche. Quelle che restarono in piedi, rimasero chiuse per settimane: al ritorno in classe alcuni studenti soffrivano di ansia, depressione e disturbo da stress post traumatico. A cinque anni dall’accaduto, più di un terzo degli alunni colpiti dal disastro mostrava di essere indietro di un anno, dal punto di vista accademico, rispetto ai coetanei.
IMPATTO A LUNGO TERMINE. Gli eventi traumatici accompagnati da molti lutti e da un profondo impatto sulle comunità comportano conseguenze a lungo termine sulla capacità di apprendimento. Quando finalmente ritorna la concentrazione, si fatica comunque a recuperare il tempo perduto. I ragazzi sopravvissuti agli incendi del sabato nero australiano, uno dei peggiori incendi boschivi della storia del Paese avvenuto nel 2009, continuarono a ottenere punteggi più bassi nei test linguistici e matematici per diversi anni dopo l’evento. Capire quanto questi problemi siano legati alla chiusura delle scuole, e quanto al trauma subito non è un compito semplice.
RICADUTE POCO STUDIATE. Uno dei problemi è che mancano dati scientifici sulle conseguenze di chiusure prolungate delle scuole. L’esempio più vicino al lockdown da COVID-19 è l’interruzione scolastica causata dall’epidemia di Ebola in Africa occidentale, nel 2014. Cinque milioni di bambini non poterono andare a scuola per otto mesi: la maggior parte di noi non l’ha mai saputo, e sull’impatto di quelle chiusure praticamente non ci sono informazioni. Uno studio del 2019 sugli studenti argentini che negli anni ’80 e ’90 persero fino a 90 giorni di scuola a causa degli scioperi degli insegnanti ha evidenziato che queste persone avevano faticato di più a laurearsi e a trovare un lavoro, e guadagnavano in media il 2-3% in meno rispetto ai coetanei cresciuti nelle aree meno interessate dalle proteste. In questo, la COVID-19 è stata tristemente “democratica”, perché ha investito tutti gli studenti di ogni età e grado di istruzione, in ogni Paese del mondo.
FORBICE SOCIALE. Le conseguenze, però, non sono per tutti uguali. Milioni di studenti consumano a scuola l’unico pasto completo della giornata; per molti, quelle ore sui banchi sono gli unici baluardi di legalità, di lotta al degrado e allo sfruttamento. I più fortunati studiano in scuole che sono riuscite a organizzare strumenti di didattica online, ma il distanziamento sociale non fa che ampliare il divario tra persone provenienti da contesti economicamente svantaggiati e studenti più benestanti. Secondo un’indagine condotta nel Regno Unito, i ragazzi che frequentano scuole private hanno il doppio delle probabilità di fare lezioni a distanza ogni giorno della settimana rispetto agli studenti delle scuole pubbliche. In Italia, quasi un alunno su dieci non segue mai le lezioni online; il 12,3% non ha un computer o un tablet per parteciparvi, e 4 su 10 vivono in abitazioni sovraffollate, senza spazi da dedicare allo studio (dati di Istat e Save The Children).
LUTTI FAMILIARI. Un aspetto ancora più delicato riguarda gli studenti che nella pandemia hanno perso genitori, nonni, insegnanti. Dopo i disastri di Katrina e Fukushima, i lutti personali o della comunità hanno lasciato gli studenti in uno stato di fragilità emotiva: soprattutto i bambini in età prescolare hanno manifestato problemi nel regolare comportamenti ed emozioni; situazioni di regressione (quando ci si comporta come bambini di età inferiore, per esempio ricominciando a farsi la pipì addosso); difficoltà nel separarsi dai genitori per rientrare in classe. Un’attenzione maggiore andrà dedicata ai bambini i cui genitori hanno subito traumi emotivi, perché impegnati in prima linea contro la COVID-19 o perché rimasti senza lavoro.
ATTENZIONE ALLA PERSONA. Un modo per aiutare i bambini a ricominciare è coinvolgerli in attività in cui sentano di poter fare la differenza per le comunità in cui vivono: dopo Katrina, gli studenti contribuirono a piantare orti e giardini di quartiere. Occorrerà inoltre aiutarli ad abituarsi alla convinvenza con il virus, insegnando loro l’importanza dell’igiene delle mani e del distanziamento sociale. Un approccio che in passato ha funzionato è quello del recupero personalizzato, studiato sulle esigenze di ogni studente: nel 2011, dopo i violenti terremoti di Christchurch, in Nuova Zelanda, gli esiti generali esami migliorarono, perché gli insegnanti avevano seguito di più gli studenti con maggiori difficoltà.
Lascia un commento