L’arte romana
L’arte romana, pur avendo assorbito molte tradizioni dell’antica Grecia, si distingueva dall’ ellenismo per sostanziali differenze: la sua società, nonostante fosse suddivisa in patrizi, plebei e schiavi, a questi ultimi concedeva di riscattarsi o per meriti o dietro ottenimento di denaro. Così, le diversità di razza e cultura dei popoli assoggettati a Roma con la guerra, venivano misch
iate e gestite dal potere centrale, il quale, però, concedeva loro, il benestare ai propri culti ed abitudini.
Un sistema che si potrebbe forse definire la prima forma di globalizzazione della storia. Tutto ciò permise alla civiltà romana di arricchire il campo artistico con manufatti, creazioni ma, soprattutto, idee che riunivano le migliori culture di allora, tanto da trarne giovamento anche le generazioni successive, persino parecchio tempo dopo la fine dell’impero.
Cosa distingue l’arte romana dalla cività ellenica
Ma quali erano le maggiori distinzioni che rendevano unica l’arte romana rispetto alla sua ‘genitrice’ civiltà ellenica? Mentre i Greci tendevano a mitizzare la rappresentazione della realtà, a Roma i fatti e gli avvenimenti si raffiguravano nell’ attualità e con un certo realismo.
Il paganesimo era ampiamente praticato ma il mito in sé, assunse un valore meno intimamente sacrale, rispetto ai capricciosi e temibili dei della mitologia greca, che erano i medesimi ma, certamente, resi più ‘terreni’.
L’arte romana sopravvisse in Italia, come in tutte le aree di conquista, fino alla caduta dell’impero d’Occidente. Nella sezione orientale invece, anche dopo la decadenza, la continuità della Roma imperiale si protrasse attraverso l’arte bizantina.
Ad ogni modo, nonostante il mondo latino avesse partorito i più grandi poeti e scrittori della storia antica, come Catullo, Virgilio, Tibullo e Ovidio, per citarne solo alcuni, gli studi teorici vennero sempre considerati di minor valore: la preferenza era per le applicazioni pratiche, discipline in cui si raggiunsero traguardi eccellenti nell’ingegneria, nella geografia, nel diritto ed altro.
Ancora una volta, dunque, come per il concetto di globalizzazione, si riscontra una curiosa comunanza, tra la Roma antica e il mondo di oggi.
Il genio romano
Il genio pratico romano, si rivelò, in particolare, nell’arte e nell’architettura con anfiteatri, acquedotti, sontuosi palazzi e ville da sogno che recano affreschi importantissimi, per noi posteri, in quanto narrano svariati episodi di vita quotidiana, usi e costumi locali della civiltà territoriale di quei tempi.
Mario Vitruvio Pollione notissimo architetto, vissuto circa tra l’80/70 e il 23 a.C., sotto il dominio di Giulio Cesare e poi, subito dopo, di Ottaviano Augusto, fu progettista di ingegneria, edilizia, idraulica e molto altro. I precetti tratti dalla sua celeberrima opera De Architectura (che comprendeva anche una fondamentale raccolta di nozioni tramandante dalla Grecia antica, tra cui le scienze dei pitagorici) vennero ‘rispolverati’ con fervore, anche nel Medioevo ma soprattutto durante l’Umanesimo e il Rinascimento.
L’Uomo Vitruviano e l’ombelico
Lo stesso Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, è basato sulle proporzioni umane, in arte e scienza esaminate proprio dall’ architetto latino.
Vitruvio, nei suoi studi sulle proporzioni umane, partì dal presupposto che l’ombelico fosse il centro del corpo umano il quale a sua volta, era inserito nello schema geometrico/strutturale di una stella a cinque punte.
Infatti, affermava che, se a un uomo supino, con mani e piedi aperti, si mettesse il centro di un compasso sopra all’ombelico disegnandone una circonferenza, le dita delle mani e dei piedi si toccherebbero tangenzialmente. Inoltre, facendo una misura dai piedi alla sommità del capo e trasportando, poi, la misura alle mani, stese, la lunghezza risulterebbe uguale all’altezza come nel quadrato fatto con una squadra: quindi, nella proporzione del corpo umano, non identificò solo lo schema circolare ma pure quello del quadrato.
Una stella a cinque punte
Dunque, la teoria dell’architetto dell’antica Roma, definisce l’aspetto di una stella a cinque punte, disegnata dal corpo umano, nella posizione descritta.
Ai tempi di Vitruvio il paganesimo applicava tale schema anche alla natura e all’universo: i quattro elementi vitali, Terra, Acqua, Fuoco e Aria -elementi essenziali anche del corpo umano- facevano capo a Venere, dea dell’amore e della procreazione.
Venere è anche il pianeta che, secondo la teoria geocentrica, traccia un pentagramma attorno alla Terra i cui angoli coincidono, con la sua congiunzione, con l’orbita circolare del Sole (impiegandoci otto anni); quindi, poiché gli antichi abbinavano le divinità ai pianeti dell’Universo allora conosciuto, neppure Vitruvio se ne discostava.
Lo dimostrano le sue teorie riportate nel De Architettura, in cui, ad esempio, affermava che gli edifici dovessero essere innalzati in luoghi apprezzati dagli dei o che i templi si dovessero costruire tenendo conto della posizione degli astri.
Lo schema vitruviano
Nello schema vitruviano, ripreso dal genio di Leonardo, ecco che la stella a cinque punte è composta dai quattro elementi vitali (terra, aria fuoco, acqua) sovrastati da una quinta punta, più alta, coincidente con il capo della sagoma umana: è l’elemento vitale immateriale (spirito o etere, secondo la cultura medievale).
Attorno alla sagoma umana, il cui centro è l’ombelico, Leonardo disegna le due forme geometriche fondamentali, che alcuni studi di stampo esoterico collocano come legate a un simbolismo: il cerchio (energia celeste) e il quadrato (energia materiale).
L’Uomo Vecchio e L’Uomo Nuovo
Secondo tali chiavi interpretative la sagoma con braccia aperte e gambe chiuse, assumerebbe la forma di una croce rappresentando, presumibilmente, ‘l’Uomo Vecchio’, colui che non ha ancora ‘fatto morire’ le sue presunzioni di conoscenza; la sagoma con braccia e gambe aperte, invece, raffigurerebbe l’Uomo Nuovo, ossia il ‘risorto’ che è giunto alla vera conoscenza.
Ma è una stella a cinque punte?
Ma la stella dell’Uomo Vitruviano di Leonardo,è costituita davvero da cinque punte? Oppure se ne potrebbe ipotizzare una ulteriore?
Lo schema delle gambe chiuse pone una sesta posizione rispetto alle cinque segnate dalle due mani e due gambe aperte della sagoma e dalla posizione segnata dalla testa: le due gambe unite, perciò, formerebbero un ulteriore punto, come del resto pure le due braccia disegnate da Leonardo in posizione perpendicolare, segnerebbero altri due punti di incontro ulteriori.
Il risultato finale ci indurrebbe a contare ben otto punti che formano una figura geometrica contenente, non solo, una stella a sei punte (la stella ebraica ESALFA?) ma addirittura una composizione che si richiama allo schema dell’albero della vita cabalistico.
Naturalmente si naviga nel mare magnum delle teorie, nel tentativo, spesso vano, degli studiosi, di decifrare gli enigmi celati nelle creazioni del genio fiorentino, ma è certo interessante conoscere le simbologie che, dall’antichità, percorsero i secoli, attraverso l’arte, giungendo fino a noi che possiamo guardarle con gli occhi della modernità e capire tanto del passato, sebbene tanto altro sia ancora avvolto nel mistero. Ma questo è il fascino della ricerca!
Il centro del mondo (l’ombelico) è la conoscenza
Da Vitruvio, (o meglio da Pitagora) fino ai nostri giorni, il percorso è stato lungo e alcuni antichi simboli, come la stella a cinque punte, si ritrovano, ancora, in varie espressioni della vita quotidiana, dalle bandiere di stati come l’Europa, alle monete di scambio, perfino a nomi di organi di difesa governative, come il Pentagono americano.
Antichità e modernità si intrecciano, inevitabilmente; la storia contribuisce a costruire l’attualità, con i suoi avvenimenti e i suoi saperi, che si perdono nella notte dei tempi.
Il centro del mondo, il fulcro delle civiltà è -deve essere- e sarà, la conoscenza, la consapevolezza di ciò che siamo.
La storia è madre di conoscenza e come tale va preservata, con seria obiettività, come patrimonio per le future generazioni.
Disamina storica approfondita scritta dalla Storica dell’Arte Anna Rita Delucca.
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