Un documentario su Stonenge ricostruita negli anni ’60

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Stonehenge ricostruito nel 1954! Stonehenge, falsa leggenda “E’ stato tutto ricostruito”? Prima pietra, 3000 avanti Cristo. Ultima pietra, 1964 dopo Cristo. All’alba del solstizio d’estate, quando sacerdoti druidi, guerrieri New Age e hippies randagi fanno a botte per vedere il perfetto allineamento del sole che sorge sulle pietre millenarie di Stonehenge, potrebbero anche mettere su un disco dei Beatles, se proprio vogliono celebrare i mitici costruttori del misterioso circolo.

Perché l’ultimo esoterico allineamento è opera di una prosaica gru degli anni ’60. Il velo sul mistero meglio pubblicizzato d’Inghilterra l’ha sollevato un ragazzo di Bristol, Brian Edwards, alle prese con una tesi di storia. Ha trovato le foto. Risalgono al 1901, hanno il fascino sabbiato di un dagherrotipo, ma documentano spietate le approssimative tecniche edilizie di un gruppo di operai vittoriani con cazzuola. Sono solo le prime di una serie: il ‘900 è stato tutto un cantiere, che ha rifatto e “migliorato” il volto di Stonehenge, come in una plastica facciale su una signora un po’ invecchiata.

Scavatrici, corde e cemento hanno ricostruito, spostato, innalzato, sistemato, riallineato quei monoliti che milioni di “fedeli” presumono intatti, e ne adorano la mistica geometria, credendola un computer preistorico, un orologio neolitico, un osservatorio celtico, o addirittura il regalo fantascientifico di una civiltà superiore, sbarcata da un’astronave sulla Terra cinquemila anni fa per consegnarci la Conoscenza. Sistemare un monumento traballante non è un reato.

Gli archeologi l’hanno fatto sempre e dovunque. Quelli inglesi in modo un po’ più vigoroso degli altri. Nel 1919, l’anno dopo che Sir Cecil Chubb, proprietario del terreno, vendette il tutto al governo per poco più di 6000 sterline, sei grandi pietre furono rimosse e innalzate in posizione verticale, agli ordini dell’energico Colonnello William Hawley, entusiasta membro della “Stonehenge Society”. Altri tre monoliti furono spostati da una gru nel 1959, a uno dei giganteschi “trilithons” venne messo un cappello di pietra nel 1958, e ai tempi di John Lennon, 1964 per l’appunto, quattro pilastri neolitici cambiarono di posto.

La Stonehenge che vediamo oggi è un’opera del XX secolo. Senza tutti questi lavori, ammettono ora gli archeologi dell’English Heritage, “avrebbe un aspetto molto diverso. Pochissime pietre sono ancora esattamente nel posto dove furono erette millenni fa”.

Non era difficile da sospettare. Bastava indagare nell’arte, dove il fascino di Stonehenge ha lasciato dettagliate testimonianze, nei dipinti di Constable e Turner, che raffigurano una distesa di enormi pietre rovesciate, sradicate dal tempo, smosse dalle intemperie, e non quel circolo perfetto che pseudoscienziati e creduloni New Age pensano innalzato per calcolare le eclissi lunari, o i solstizi del sole. Gli archeologi seri già lo sapevano, e l’hanno pure scritto nei loro libri.

Ma a noi, poveri mortali, nessuno l’aveva mai detto. Anzi, ce l’avevano accuratamente nascosto. Sulle guide e gli audiovisivi del “trust” che cura la conservazione del luogo e incassa i proventi di un milione di turisti all’anno, c’è appena un vago accenno a generici lavori di “rafforzamento delle pietre”. Fino agli anni ’60, per la verità, i depliant erano un po’ più chiari. Poi, l’esplosione di massa del fenomeno Stonehenge dovette consigliare una robusta censura.

Il fatto è che il mistero di questa mitica costruzione si gioca tutto in pochi millimetri. Per essere un osservatorio astronomico preistorico, le pietre devono puntare con precisione matematica al primo sole d’estate, devono riprodurre alla perfezione le costellazioni celesti, devono seguire a intervalli implacabili di 46 mesi le evoluzioni lunari. Un’intera nuova scienza, la “archeometria”, ha calcolato all’infinito i dettagli di Stonehenge.

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