Buddismo e Psicologia Positiva: oltre la patologia, alla ricerca della felicità

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Il buddismo insegna a vivere in maniera positiva, scopo della Psicologia Positiva è invece studiare le emozioni positive: in entrambi la felicità è il fine.

La pratica del buddismo come pratica di consapevolezza e ricerca dell’identità si ritrova anche nella Psicologia Positiva e la continua necessità di innovazione e cambiamento ha portato allo sviluppo di nuove correnti.

I legami tra il buddismo e psicologia hanno radici molto profonde e antiche, Mark Epstein in una sua opera riporta un episodio in cui lo psicologo William James durante una lezione a Harvard, agli inizi del Novecento scorgendo un monaco buddista tra l’uditorio si interruppe chiedendogli di prendere il suo posto affermando “Lei è più preparato di me a insegnare psicologia. La vostra è la psicologia che tutti studieranno di qui a un quarto di secolo” (Mark Epstein, Pensieri senza un pensatore, 1996).

James ha il merito di aver intuito quella che è la dimensione psicologica dell’esperienza buddista.

Mark Epstein, in un’ottica psicoanalitica, da psicoterapeuta buddista racconta come il buddismo da agli psicoterapeuti contemporanei un essenziale insegnamento, già in passato ha infatti messo a punto tecniche volte allo sradicamento del narcisismo umano, secondo il buddismo lo scopo della vita è essere felici, al di là degli attaccamenti e quindi della visione narcisistica della vita.

L’incontro tra buddismo e psicologia

Dalla fine degli anni Sessana e l’inizio degli anni Settanta il pensiero orientale, alimentato dall’adesione allo Zen degli intellettuali beat degli anni Cinquanta dalla controcultura e dal misticismo degli anni Sessanta, si fa strada nella coscienza psicologica occidentale (M. Epstein 1996).

La ruota del samsara, la rappresentazione buddista della ruota della vita, è un’immagine molto conosciuta della tradizione orientale. Si tratta di un mandala che rappresenta i sei regni a cui sono soggetti gli esseri senzienti: il regno umano, il regno animale, il regno infernale, il regno dei preta (spiriti affamati), il regno degli asura (titani o dèi gelosi). Sei sono quelli principali, a loro volta suddivisi in centinaia di regni. Il sentiero che porta alla buddità inizia nel regno umano e porta fuori dalla ruota, solo gli esseri umani possono raggiungere tale illuminazione, tale consapevolezza. Molti movimenti psicoterapeutici hanno studiato e approfondito le sofferenze dei regni, Freud il regno animale e le sue pulsioni; Melanie Klein l’ansia e l’aggressività del regno d’inferno; D. W. Winnicott e Heinz Kohut  con la psicologia del sé  il regno umano del narcisismo; Carl Rogers e Abraham Maslow i regno degli dèi delle esperienze di vetta (M. Epstein 1996).

A proposito del rapporto tra buddismo e psicologia, nell’opera di Abraham Maslow e nella psicologia moderna si riscontra una grande influenza del pensiero buddista. Il buddismo promuove la meditazione come mezzo per la trasformazione della sofferenza umana, il superamento dell’infelicità nevrotica e la lotta interiore per il superamento di quello che viene definito “piccolo io” e la conquista del vero sé.

Il buddismo e la psicologia positiva

La pratica buddista come pratica di consapevolezza e ricerca dell’identità si ritrova in correnti più recenti come la Psicologia Positiva e la continua necessità di innovazione e cambiamento ha portato allo sviluppo di nuove correnti.

I fondatori della Psicologia Positiva sono Seligman e Csikszentmihalyi, secondo Seligman i tre fondamenti sono: lo studio delle emozioni positive, lo studio delle caratteristiche positive (virtù personali e punti di forza),  lo studio di istituzioni positive (democrazia, famiglie forti, libera inchiesta pubblica), (Seligman, 2002).

Lo studio dei punti di forza e delle virtù umane consente di comprendere ciò che rende la vita degna di essere vissuta e i processi che fanno muovere nella miglior direzione la società e le istituzioni (Gable e Haidt, 2005).

Per quanto riguarda gli individui  promuove lo sviluppo delle caratteristiche positive connesse con la capacità di provare felicità e gioia (coraggio, ottimismo, speranza, perseveranza, saggezza, perdono).

La Psicologia Positiva oltre che dedicarsi alla malattia integra il raggio d’azione, preoccupandosi di altri aspetti della vita umana, lo sviluppo delle risorse e dei talenti individuali volte al miglioramento della qualità di vita e alla felicità.

La consapevolezza e lo sviluppo dei talenti individuali volti alla costruzione della felicità sono alla base del buddismo di Nichiren Daishonin,  il filosofo buddista Daisaku Ikeda guida della Soka Gakkai  spiega che la filosofia buddista ha implicazioni molto pratiche nella vita quotidiana, consiste nel fare tesoro della vita rendendola degna il più possibile, si tratta di realizzare la propria rivoluzione umana (Daisaku  Ikeda, 2002)

Consiste nell’attivare la buddità innata e migliorando di conseguenza ogni aspetto della vita entrando in armonia con l’energia universale, “la vita assomiglia al vibrare delle note. E l’individuo a uno strumento a corde” scriveva Beethoven nel suo diario.

Se l’individuo non ha la corretta intonazione non può risuonare con ciò che lo circonda.

Applicando nel quotidiano ciò che insegna il buddismo non conta quanto sappiamo di noi stessi ma il modo in cui ci rapportiamo a ciò di cui siamo consapevoli.

La felicità ovvero la buddità

Il buddismo insegna a rapportarsi alla vita in maniera positiva, usando come occasione di crescita ogni evento che ci accade. Sviluppare questo atteggiamento consapevole porta ad una solida felicità, che in termini buddisti viene detta buddità.

Felicità deriva dal verbo fèo, fecondo; questo implica che la felicità non è soltanto l’emozione relativa a ciò che di bello ci accade ma bensì il risultato delle nostre azioni migliori, tramite cui produciamo, creiamo. La felicità è  l’effetto di ciò che facciamo nell’ambiente in cui viviamo, (Laudadio, Mancuso, 2015).

A partire dal Novecento, fino a pochi anni fa la psicologia raramente ha preso in considerazione il tema della felicità e si è perlopiù concentrata sulla psicopatologia, sulle emozioni, sui processi cognitivi e i fattori ambientali capaci di compromettere un buon funzionamento psicologico, in definitiva sull’infelicità. Dopo la Seconda Guerra Mondiale le scelte professionali degli psicologi si sono orientate sul trattamento dei disturbi mentali.

Le prime teorie che hanno parlato di felicitàrisalgono ad Aristippo e ad Aristotele; il primo parla di felicità edonica, principio secondo cui la felicità è data dal piacere, scopo della vita massimizzare il piacere e minimizzare il dolore; Aristotele nell’Etica Nicomachea, elabora il concetto felicità eudaimonica, frutto dell’attuazione piena delle potenzialità individuali: l’uomo deve esprimere le proprie virtù e realizzare la sua natura (Laudadio, Mancuso, 2015).

Maslow nel 1943 ha elaborato la Piramide dei bisogni, secondo cui l’uomo cerca di conquistare la felicità scalando la piramide, partendo dal gradino più basso dei bisogni primari, salendo verso il vertice della piramide attraverso i bisogni di sicurezza, bisogno di appartenenza, bisogno di stima e all’apice l’autorealizzazione.

Bradburn (1969) la felicità consiste in un giudizio globale che formulano le persone comprando i loro affetti positivi e quelli negativi.

La Psicologia Positiva nasce nel 1998 con Martin Seligman, Mihalyi Cskszentmihalyi e Raymond Fowler. Nasce ponendo come presupposti che la psicologia debba occuparsi delle potenzialità e delle debolezze umane; impegnarsi a sostenere tali potenzialità e riparare i danni al fine di migliorare la qualità di vita; tale sforzo deve essere volto a rendere migliore la vita dell’uomo e degna dei essere vissuta.

Scopo della Psicologia Positiva è approfondire lo studio delle emozioni positive, lo studio scientifico delle funzioni umane ottimali, la scoperta e la promozione delle potenzialità umane al fine di migliorare la vita degli individui e della società.

Inoltre lo studio dei tratti positivi e delle virtù volto all’elaborazione di una classificazione delle potenzialità, come il DSM.

Inoltre Seligman si propone lo studio delle istituzioni positive con l’obiettivo di individuare “le grandi strutture che trascendendo il singolo individuo, erano in grado di supportare il carattere positivo” (Seligman, 1995).

Principio basilare del buddismo è il concetto di Karma,  afferma infatti “se vuoi conoscere le cause create nel passato, guarda gli effetti che si manifestano nel presente. Se vuoi conoscere gli effetti che si manifesteranno nel futuro, guarda le cause che stai mettendo nel presente”. Karma è una parola sanscrita che significa azione, qualsiasi azione compiuta (causa), che si tratti di un pensiero un’azione o una parola detta, questa avrà un effetto sull’ambiente.

Di conseguenza è l’individuo, che decidendo se mettere nella propria vita cause positive è artefice della propria felicità.

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