Verrà accesa nel 2025 la centrale europea a fusione nucleare

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Tokamak, il reattore a fusione nucleare che addomestica il Sole. Oggi la presentazione del progetto congiunto di Ue, Svizzera, Usa, Russia, Cina, Giappone, India e Corea del Sud. L’investimento italiano è di 1,2 miliardi di euro.

Il direttore generale Bernard Bigot annuncerà oggi a Saint Paul Lez Durance, nel Sud della Francia, il completamento dei lavori di genio civile per il reattore a fusione nucleare Iter: è un momento cruciale per il più ambizioso programma energetico al mondo, che punta a «mettere il sole in una scatola» producendo energia nucleare pulita. «Il momento è importante perché a questo punto possiamo cominciare ad assemblare la macchina», dice l’ingegnere Sergio Orlandi, già direttore generale di Ansaldo Nucleare e dal 2013 direttore del dipartimento «Ingegneria impiantistica e costruzioni» del progetto Iter. La macchina è il «Tokamak», acronimo russo di epoca sovietica che indica una specie di gigantesca ciambella al cui interno gli scienziati sperano di riprodurre e addomesticare, sulla Terra, lo stesso processo che ha luogo in ogni istante nel Sole e nelle stelle.

International Thermonuclear Experimental ReactorLe centrali nucleari dagli anni Cinquanta in poi usano la fissione, cioè la separazione degli atomi. L’Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor) si basa invece sulla fusione degli atomi: il gas di idrogeno viene scaldato fino a 100 milioni di gradi, passa allo stato di plasma (definibile come il quarto stato della materia accanto a solido, liquido e gassoso), viene controllato da enormi magneti fino a che gli atomi si fondono liberando energia.

«A differenza della fissione nucleare, la fusione è in grado di produrre almeno 10 volte più dell’energia immessa nel sistema per farlo funzionare — spiega Orlandi —. E se le scorie della fissione restano radioattive per 3.000 anni, quelle della fusione dimezzano i loro effetti in 12».

Dell’idea di unire gli sforzi per realizzare la fusione nucleare a scopi pacifici parlarono Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov durante il vertice Usa-Urss di Ginevra del 1985. Mosca in piena epoca di perestrojka offrì di mettere a disposizione le sue conoscenze e i primi esemplari di Tokamak. Nel 2005 Unione Europea, Svizzera, Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone, India e Corea del Sud si sono trovati d’accordo nello stabilire il sito di costruzione del reattore Iter in Provenza, vicino a Aix-en-Provence, dove oggi la società francese di costruzioni Vinci farà il suo annuncio.

La prossima tappa decisiva sarà, nel dicembre 2025, l’accensione del Tokamak e la prima produzione di plasma. Potrebbero passare altri decenni prima dell’utilizzo su larga scala di energia elettrica prodotta da centrali di tipo Iter, ma nelle ultime settimane si è molto parlato della fusione come del possibile prossimo salto di qualità tecnologico decisivo per il futuro dell’umanità, simile per importanza all’imminente avvento dei computer quantistici.

Il premier britannico Boris Johnson, peraltro non noto per prudenza negli annunci, ha fatto scalpore lo scorso ottobre dicendo che «gli scienziati britannici stanno per creare reattori a fusione tascabili da vendere in giro per il mondo». Circostanza non verificata, e resa più improbabile dalla Brexit che potrebbe rimettere in discussione la partecipazione della Gran Bretagna al progetto Iter. Comunque, «nel frattempo le sfide tecnologiche poste dalla fusione sono talmente complesse che le soluzioni hanno ricadute nella vita di tutti i giorni — continua l’ingegnere Sergio Orlandi —: dai nuovi strumenti medici per la risonanza magnetica alle ricerche per la cura del Parkinson o dell’Alzheimer».

L’Italia ha un ruolo decisivo nel progetto Iter: le opere che le sono affidate hanno il più alto valore aggiunto, e i contratti affidati ad aziende come Angelantoni Test Technologies (ATT), ASG Superconductors o Ansaldo Nucleare superano in totale 1,2 miliardi di euro.

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