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Tornerà il pomodoro di una volta con il gusto dimenticato

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Individuati i geni perduti in mezzo secolo di selezione. Con gli incroci tornerà il gusto dimenticato. Negli ultimi cinquant’anni è pressoché scomparso. Ma alla ricerca del sapore perduto dei pomodori oggi è partito un gruppo di agronomi e genetisti. Essendo il problema globale – i frutti che non sanno di niente si trovano nei supermercati di tutto il mondo – l’équipe ha imbarcato scienziati di tre continenti: cinesi, statunitensi, spagnoli e israeliani. La promessa, nelle parole di Harry Klee, agronomo dell’università della Florida, è che ci vorranno ancora quattro o cinque anni: “Ma poi riusciremo a rendere il pomodoro del supermercato di nuovo saporito”.

Per la missione sono stati ingaggiati strumenti per il sequenziamento genetico di 398 varietà di pomodori fra commerciali, tradizionali e selvatici, un terzo dei quali italiani, e 160 assaggiatori in carne e ossa, chiamati a stabilire quali fossero le caratteristiche dell’ortaggio ottimale. Il risultato è che in cinquant’anni di selezione i frutti sono diventati più grandi e sodi per rendere e durare di più. Ma hanno visto ridursi sia il tasso di zuccheri che una serie di molecole chiamate “composti aromatici”, presenti in quantità piccolissime, totalmente trascurate dai selezionatori, ma essenziali per il sapore e l’aroma degli ortaggi.
Il rapporto fra frutti grandi e tassi di zucchero bassi è apparso chiarissimo, nella ricerca pubblicata da Science. E difficilmente qui si potrà avere la botte piena e la moglie ubriaca. Per quanto riguarda i composti aromatici, invece, i ricercatori ne hanno identificati tredici (ma probabilmente ce ne saranno altri). Si tratta di molecole piccole e difficili da misurare con le attrezzature a disposizione degli agricoltori. I pomodori le producono grazie a una manciata di geni che ora sono stati individuati e che, senza nemmeno rendersene conto, i coltivatori avevano trascurato in nome delle dimensioni e della facilità di trasporto dei frutti. Reintroducendo questi geni – con tecniche di selezione naturale e senza ricorso a tecniche ogm, promettono i ricercatori – sarà ora teoricamente possibile far tornare saporiti e profumati i nostri pomodori. “Vogliamo riaggiustare quello che è stato danneggiato nell’ultimo mezzo secolo” spiega Klee. Per quanto riguarda i composti aromatici, questo sarà probabilmente raggiungibile senza sacrificare le dimensioni dei frutti.
Il pomodoro, con i suoi 170 milioni di tonnellate prodotte nel mondo, è il prodotto agricolo di maggior valore economico. Tra le varietà selvatiche originarie e quelle odierne c’è una differenza di peso che arriva a mille volte. “E l’aumento delle rese, che oggi toccano i 1.500-2.000 quintali all’ettaro, ha sicuramente ridotto la qualità” conferma Luigi Frusciante, professore di genetica vegetale all’università Federico II di Napoli, uno dei protagonisti del sequenziamento del genoma di questo ortaggio completato nel 2012. “Credo anch’io che gli studi di genetica ci permetteranno di recuperare il sapore perduto” spiega Frusciante. “Ma dovremmo anche prestare più attenzione sia al luogo di origine di ciascuna varietà, sia all’uso cui è destinata”. Pomodori da insalata, da sugo o da succo da bere devono avere sapore, dolcezza, aromi e acidità diverse, secondo il genetista. “E ci sono pomodori come il vesuviano, che viene appeso in grappoli e resiste senza marcire fino a marzo, che possono crescere solo nella zona del vulcano”. Cuore di bue e Liguria, sorrentino e Sorrento, corbarino e Puglia, pachino e Sicilia: questi binomi non dovrebbero essere mai scissi, per conservare il sapore ottimale. “E per spezzare la continua ricerca di rese più alte, si potrebbe stipulare un nuovo patto fra coltivatori e industriali. Anziché pagare i pomodori per il loro peso, gli acquirenti potrebbero calcolarne il prezzo in base alla qualità”. L’indice Brix, ad esempio, misura il grado di zucchero di un frutto. Viene usato per l’uva e la barbabietola. “Sarebbe utile applicarlo anche ai pomodori ” prosegue Frusciante. “Ma finora non si è riusciti a raggiungere un accordo. E ai coltivatori non resta che continuare a selezionare i geni che spingono le piante a produrre di più”.
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