Scampati a Chernobyl soltanto gli animali (ma non sono più loro). Rane nere, uccelli albini, insetti vecchi presto A che prezzo si sopravvive alle radiazioni. Rane più scure del normale, uccelli albini, insetti meno longevi. Sono solo alcune delle specie che sono riuscite a trasformare la «zona di alienazione» di Chernobyl nel loro habitat naturale, grazie a un processo di auto modificazione genetica.
I trenta chilometri intorno al reattore numero 4 della centrale nucleare, esploso in Ucraina nel 1986 durante un test, avrebbero dovuto essere interdetti a qualunque forma di vita per secoli. Invece, contrariamente a qualunque previsione, in questi 33 anni si sono ripopolati fino a diventare un esempio unico al mondo di biodiversità. Ma tutto questo è avvenuto grazie alla capacità degli animali di cambiare parti del proprio Dna per poter sopravvivere alle radiazioni.
A documentare per la prima volta questa inaspettata oasi faunistica è stato un gruppo di 30 ricercatori provenienti da Regno Unito, Irlanda, Francia, Belgio, Norvegia, Spagna e Ucraina. Gli scienziati hanno studiato grandi mammiferi, uccelli nidificanti, anfibi, pesci, bombi, lombrichi e batteri dimostrando che gli attuali livelli di radioattività altissimi per la sopravvivenza degli esseri umani non hanno particolari effetti negativi sulle diverse specie animali e vegetali che vivono intorno alla centrale ormai abbandonata. La ricerca ha anche evidenziato che in tutti i gruppi esaminati le popolazioni restano stabili e vitali all’interno della zona contaminata. Segno che gli organismi si sono via via adattati all’ambiente inospitale per trasformarlo nel loro habitat.
La conferma definitiva è arrivata grazie al progetto Tree (Transfer-Exposure-Effects), condotto dal Centro per l’ecologia e l’idrologia del Regno Unito, grazie al quale alcune telecamere di rilevamento del movimento sono state installate per diversi anni in alcune aree altamente contaminate. Le foto hanno rilevato la presenza di una fauna abbondante a tutti i livelli di radiazioni. Così è stato possibile osservare non solo cani e gatti, ma anche volpi, orsi bruni, bisonti, lupi, linci, cavalli, pesci e oltre 200 specie di uccelli.
Tutti riuniti in un’incredibile oasi naturale nella quale da oltre trent’anni non vive più alcun essere umano. Secondo gli esperti tutto questo è stato possibile grazie a un graduale processo di auto modificazione genetica. Non è un caso che gli animali di Chernobyl mostrino delle caratteristiche un po’ diverse. Per esempio, le rane sono più scure rispetto a quelle che vivono al di fuori della zona di esclusione, probabilmente per difendersi meglio dalle radiazioni. Alcuni insetti sembrano, invece, avere una vita più breve e sono più colpiti dai parassiti in aree ad alta radiazione. E poi ci sono gli uccelli che mostrano livelli più alti di albinismo, oltre ad alterazioni fisiologiche e genetiche quando vivono in località altamente contaminate.
Ma questi effetti non sembrano influenzare il mantenimento della popolazione selvatica nella zona. Secondo i ricercatori, presenza di questa biodiversità sarebbe il prodotto di diversi fattori. Innanzitutto, la fauna selvatica di Chernobyl potrebbe essere molto più resistente alle radiazioni di quanto si pensasse in precedenza. Un’altra possibilità è che alcuni organismi potrebbero iniziare a mostrare risposte adattative che consentirebbero loro di far fronte alle radiazioni e di vivere all’interno della zona di esclusione senza danno. Inoltre, l’assenza di esseri umani in quell’area potrebbe favorire molte specie, in particolare i grandi mammiferi. In particolare l’assenza di pesticidi, gas di scarico, inquinamento avrebbero migliorato drasticamente la qualità dell’ambiente, permettendo a migliaia di animali di vivere e proliferare. Segno che, nonostante gli errori commessi dall’uomo, la natura trova sempre il modo per salvaguardarsi e riprendersi i propri spazi.
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