Siamo un Paese di fauna e di flora. Metà dei fiori di tutta Europa – infatti – crescono sulle nostre terre. Ma sui prati, le colline e pure le coste la pressione antropica e inquinante è forte, a livello di crisi permanente. Per dire, il riscaldamento globale italiano è superiore a quello medio internazionale. Dal 1961 al 2015 da noi la temperatura è cresciuta di 1,58 gradi centigradi, nel resto del mondo di 1,23. E abbiamo avuto 26 notti tropicali in più (sopra i venti gradi) delle medie internazionali. Nelle stazioni in quota nell’arco alpino si sono registrate temperature record, così si spiegherebbe il livello dello scioglimento dei ghiacci certificato sulle Alpi e sulle Dolomiti.
Al ministero dell’Ambiente è stato depositato il Primo rapporto sul capitale naturale in Italia, documento importante e innovativo che prova a stimare il danno economico derivante dall’offesa alla natura italiana. Dice, il Rapporto, che sui 73 ecosistemi in cui viene suddivisa la penisola, diciannove sono in un alto stato di conservazione, diciotto in una media conservazione e trentasei in un basso stato (tra questi, le aree della Pianura Padana). Dice ancora: “A fronte di alcuni elementi positivi, quali ad esempio l’incremento delle aree naturali protette, si segnala una tendenza al peggioramento nelle principali componenti del Capitale naturale italiano”.
Il consumo del suolo
In Italia non si ferma (anche se rallenta) il consumo di suolo: 35 ettari al giorno. L’espansione delle superfici a uso urbano, tra il 2008 e il 2013, ha conosciuto un incremento di 19.400 ettari l’anno. Il suolo urbanizzato, questa volta il periodo preso in considerazione va dal 1990 al 2013, è passato dai 290 a 353 metri quadrati per ogni cittadino italiano (con punte di 560 metri quadrati in Friuli Venezia Giulia). Ci sono stati aumenti considerevoli in regioni che hanno contestualmente registrato un saldo demografico negativo (Basilicata, Calabria, Molise, Liguria). La copertura permanente del suolo con asfalto o calcestruzzo è la principale causa di degrado degli ecosistemi rurali e delle zone verdi urbane: “Impedisce al suolo di trattenere le precipitazioni e accresce i rischi di inondazioni con effetti indiretti sul microclima”.
Mari inquinati e sfruttati
Sul piano chimico il 40 per cento dei nostri mari è considerato “non buono” (il dato migliore riguarda le acque intorno alla Sardegna e quelle dell’Appennino centrale). L’inquinamento costiero fecale è decisamente in riduzione mentre la pesca resta uno dei più importanti fattori di stress dei mari: nel periodo 2007-2014 la larga maggioranza degli stock ittici monitorati è stata valutata “in stato di sovrasfruttamento da parte della pesca”. Nel 2013 gli stock sfruttati in eccesso hanno raggiunto il 95 per cento del totale, l’anno dopo si è scesi all’88 per cento. L’analisi delle serie storiche del pescato in Italia (i dati sono della Fao) mostra un significativo decremento delle catture dal 1970 al 2014: i livelli di massima produzione si sono registrati nella prima metà degli anni ’80. Dopo le politiche della Commissione europea, lo sforzo delle imbarcazioni sta progressivamente rientrando entro livelli di sostenibilità biologica, ma la maggior parte delle risorse resta in uno stato di sovrasfruttamento. Il valore economico di pesca e acquacoltura, ricorda il lavoro, è pari a 920,7 miliardi l’anno (dato del 2014).
Le specie aliene e quelle in via d’estinzione
Le specie aliene (o esotiche) ammontano a 2.700, di cui oltre 1.500 sono animali. Quasi 1.100 le specie vegetali, funghi e batteri. Alcune, per la loro notevole capacità di diffusione, sono potenzialmente dannose per la salute umana, l’ambiente e le attività economiche. Il fenomeno è aumentato rapidamente a partire dal Secondo dopoguerra arrivando – nel decennio 1990-1999 – a ventisette specie aliene introdotte ogni nuova stagione. L’incremento è da mettere in relazione con l’aumento degli scambi commerciali e, più recentemente, il riscaldamento del Mar Mediterraneo che ha attirato specie tropicali nei nostri mari.
Forte, nel nostro Paese, è il rischio estinzione. Le liste rosse dell’Unione internazionale per la conservazione della natura segnalano che su 1.400 vegetali controllati sul territorio italiano 248 risultano minacciati e 32 sono probabilmente estinti. Su 672 specie di vertebrati, invece, il 28 per cento è a rischio estinzione. In base ai dati Ispra nell’ambiente terrestre le principali minacce vengono dalla perdita e dal degrado degli habitat (120 specie) e dall’inquinamento (poco meno di 80 specie). La caccia ha una incidenza minore.
Le grandi aree protette
Tra le buone notizie del Rapporto capitale naturale vi è la certificazione dell’ampiezza delle aree protette in Italia, decisamente superiore alle riserve europee e mondiali. Nel complesso, il sistema delle aree nazionali e regionali, con la Rete Natura 2000, interessa il 21 per cento della superficie terrestre (oltre nove milioni di ettari) e il 19,1 per cento della superficie marina.
Insieme alle città solettate di cemento e d’asfalto, nel Paese cresce la superficie forestale: ricopre (dati Infc, 2015) quasi 12 milioni di ettari, corrispondenti a un coefficiente di boscosità (rapporto tra estensione delle foreste e territorio nazionale) del 39 per cento. E questa percentuale continua a crescere. Negli ultimi 24 anni si sono allargate tanto le città (mezzo milione di ettari) che i boschi (mezzo milione di ettari). A scapito di agricoltura e pascoli. Approfondendo, si scopre che la riduzione più significativa riguarda i terreni seminativi (meno 848mila ettari tra il 1990 e il 2014, il 14 per cento) e gli agrumeti (meno 11 per cento). Si è registrato, invece, un incremento delle superfici dedicate alla viticoltura (più 83 per cento rispetto al 1990) e agli olivi (più 15 per cento). Sono tornate a espandersi anche le risaie (più 9 per cento). La perdita di suolo produttivo per produzione agricola vale 424 milioni di euro l’anno.
Migliora l’aria
In Italia migliora l’aria, visto che tutti gli inquinanti decrescono. Gli indicatori sono concordanti. La situazione permane, tuttavia, critica in Pianura Padana e nei contesti metropolitani: per il particolato atmosferico, il biossido di azoto e l’ozono troposferico si continuano a registrare livelli elevati. E’ proprio per questi livelli di inquinamento concentrati in alcune aree che in Italia è stato stimato un numero di 91.050 morti premature, il più alto tra i Paesi europei presi in considerazione (la stima era per il 2013). La quasi totalità dei superamenti alle centraline (ozono e biossido di azoto), va detto, è stata registrata in stazioni orientate al traffico localizzate in medie e grandi aree urbane.
Le dieci grandi città
Torino è la città più grande d’Italia: si estende per 682mila ettari con il 93,3 per cento del suo territorio non urbanizzato e il 16,4 per cento di verde pubblico a disposizione dei cittadini. Milano ha il 33,6 per cento del territorio cementificato. Per quanto riguarda la disponibilità di verde pubblico pro capite, la migliore condizione si rinviene a Reggio Calabria: 104 metri quadrati per abitante. La peggiore a Genova, con 6,3 metri quadrati per abitante.
Gli interventi e le tasse
L’Italia nel tempo ha varato (e sovrapposto) ben 61 Piani di intervento ambientale (Piano parchi, Strategia nazionale per la biodiversità, strategia per l’ambiente marino e così via). Urge una razionalizzazione.
Le imposte ambientali ammontano, infine, a 55.722 milioni di euro, ma solo l’1,03 per cento (578 milioni) viene impiegato per la protezione dell’ambiente. L’82 per cento del gettito è costituito da imposte (prevalentemente accise) sui prodotti energetici, il 17 per cento da imposte sui veicoli di trasporto e meno dell’1 per cento su specifici inquinanti o risorse naturali.
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