LA NAVE che ci deve traghettare verso un Pianeta al riparo dagli effetti più gravi del cambiamento climatico non affonderà, non nell’immediato per lo meno. Parola di uno degli ingegneri che l’hanno costruita. Carlo Carraro, vicepresidente dell’Ipcc, il panel dell’Onu incaricato di raccogliere le conoscenze scientifiche sul riscaldamento globale e le sue conseguenze sulla Terra, è uno degli artefici dell’Accordo di Parigi per la riduzione delle emissioni gas serra.
“Sono più stupito che preoccupato – ci dice – da un punto di vista pratico nel medio termine cambia ben poco. Il senso della scelta di Trump di uscire, se confermata nei prossimi giorni come suggerito dalla stampa Usa, va cercato tutto nelle logiche interne americane, mi pare un messaggio mediatico rivolto a rassicurare lo zoccolo duro del suo elettorato e quella parte del mondo imprenditoriale insofferente per qualsiasi forma di regolamentazione”.
Professor Carraro, dall’alto della sua esperienza di ben 18 conferenze Onu sul clima lei appare piuttosto ottimista.
“L’Accordo resterà in vita. Il raggiungimento della sua prima tappa, lo stop alla crescita delle emissioni da qui al 2030, è già in traiettoria. A parte gli Usa, i grandi produttori di CO2, Ue, India e Cina, andranno avanti. E anche negli Stati Uniti non sarà certo un annuncio della Casa Bianca a fermare il progresso e la diffusione delle fonti rinnovabili, i cui costi di produzione continuano a diventare sempre più competitivi con le fossili”.
Dopo la bandiera dalla globalizzazione gli Usa cedono alla Cina anche quella del clima. E’ così?
“Assolutamente. Per loro la rivoluzione energetica è una priorità economica e di politica interna nella lotta allo smog. Andranno spediti e non si lasceranno sfuggire l’occasione di utilizzare l’impegno contro il riscaldamento globale per estendere la loro influenza in vaste aree del mondo. Quello che non potranno fare è ripianare il buco finanziario che si aprirebbe con l’abbandono di Trump. E’ questa la vera incognita della scelta di Washington”.
In che senso?
“L’Accordo di Parigi prevede un corposo sostegno economico alle nazioni in via di sviluppo per aiutarle a saltare la fase ‘sporca’ della crescita. Molti dei loro impegni sono legati a questi aiuti. Il problema non sono le emissioni, visto che si tratta di economie che tutto sommato inquinano poco, ma del rischio di perdere una grande opportunità di imboccare subito in maniera decisa una strada virtuosa”.
All’indomani della vittoria di Trump la California ha manifestato l’intenzione di aderire a titolo ‘statale’ all’Accordo di Parigi. Soluzione possibile?
“No, i trattati internazionali non lo prevedono. Ma anche un’intesa ‘parallela’ informale, avrebbe una valore simbolico di grande impatto. La determinazione di uno Stato chiave come la California a procedere nelle politiche ambientaliste è un altro elemento di forte ottimismo”.
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