Nuove super batterie smart grid per veicoli elettrici

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Tra grafene e sodio, il futuro delle super batterie. Avere energia elettrica da fonti non inquinanti e senza utilizzare combustibili fossili è oggi alla portata di tutti. Ma il problema resta l’immagazzinamento di questa energia per l’utilizzo quotidiano. Le ultime soluzioni per la sostenibilità.

L’ultima, in ordine di tempo, è una batteria che si ricarica in cinque minuti, il tempo di un pieno di benzina. Potrebbe essere la svolta tanto attesa per le auto elettriche, ad esempio, la cui autonomia non ha ancora raggiunto i livelli ottimali per viaggi medio-lunghi. La tecnologia è israeliana, prodotta dalla StoreDot, ma la realizzazione finale è cinese. Non utilizza, se non in parte, il litio, ma strati sovrapposti di nanomateriali e composti organici e, come corollario, ha che i componenti usati non sono infiammabili. Il problema è che questa batteria, su cui si sta lavorando con un finanziamento di oltre 130 milioni di dollari, non ha ancora un “caricatore” in grado di fornire la potenza necessaria ad effettuare la carica entro, appunto, i 5 minuti. Il limite finora raggiunto è di fornire un’autonomia di cento miglia con una normale ricarica effettuata dalle colonnine attualmente esistenti. Altro problema è il calore prodotto durante la ricarica e l’indice di degrado che la batteria può subire facendo appunto cicli continui di carica e scarica.

Tra grafene e sodio, il futuro delle super batterieMa questo tipo di batteria continua ad utilizzare, in ogni caso e seppure in quantità ridotta, un componente, il litio, la cui produzione è altamente costosa in termini di risorse. Per fare un esempio, l’America del Sud, grande produttrice di litio grazie al Cile, rischia di avere un problema di approvvigionamento idrico proprio perché occorre tantissima acqua per realizzare il metallo col grado di purezza necessario appunto per una batteria.

In questo senso, e con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale derivato dalla produzione, si stanno studiando altri componenti per produrre le batterie. I ricercatori hanno realizzato così un prototipo di una batteria a base di zinco priva di anodi che utilizza materiali a basso costo e abbondanti in natura. Le batterie acquose a base di zinco sono state già esplorate per lo stoccaggio di energia su vasta scala per le grandi reti, a causa della loro sicurezza e dell’elevata densità di energia. Inoltre, i materiali utilizzati per realizzarli sono facilmente reperibili senza per questo depauperare le risorse del pianeta. Tuttavia, le batterie allo zinco ricaricabili sviluppate finora richiedono anodi metallici di zinco spessi, che contengono un grande eccesso di questo metallo che aumenta i costi. Inoltre, gli anodi tendono a formare dendriti – proiezioni cristalline di metallo di zinco che si depositano sull’anodo durante la carica – che possono cortocircuitare la batteria.

Yunpei Zhu, Yi Cui e Husam Alshareef, traendo ispirazione da precedenti esperimenti su batterie al litio e sodio-metallo “senza anodi”, hanno realizzato un accumulatore che utilizza un catodo di biossido di manganese pre-intercalato con ioni di zinco, una soluzione elettrolitica acquosa di trifluorometansolfonato di zinco e un collettore di corrente a lamina di rame. Durante la carica, il metallo di zinco viene placcato sulla lamina di rame e durante la scarica il metallo viene rimosso, rilasciando elettroni che alimentano la batteria. Per prevenire la formazione di dendriti, i ricercatori hanno rivestito il collettore di corrente in rame con uno strato di nanodischi di carbonio. Questo strato ha favorito la zincatura uniforme, prevenendo così i dendriti e aumentando l’efficienza della zincatura e dello stripping. La batteria ha mostrato alta efficienza, densità energetica e stabilità, conservando il 62,8% della sua capacità di accumulo dopo 80 cicli di carica e scarica.

Tra grafene e sodio, il futuro delle super batteriePer restare invece nel campo delle batterie agli ioni di litio, si sta cercando di limitare il più possibile l’uso di questo metallo, sostituendolo in parte con altri materiali, come il grafene.

Ma anche la perovskite, minerale facilmente reperibile in natura e che ora viene sperimentato per la produzione di pannelli fotovoltaici, potrebbe entrare presto nella produzione delle nuove tipologie di batterie. La perovskite, grazie alle sue caratteristiche dielettriche, permette di assorbire energia e rilasciarla gradualmente nel tempo.

Altro tema per quanto riguarda le batterie è quello del monopolio delle produzioni. Cina e Stati Uniti sono i principali fornitori di accumulatori per energia elettrica (il caso Tesla è un esempio), ma si stanno muovendo anche altre nazioni. In Australia, ad esempio, si punta all’uso dell’idrogeno per le batterie industriali, così come in California, dove sono nate le prime stazioni di rifornimento per veicoli alimentati a idrogeno.

In Europa, invece, sono in cantiere delle super batterie che potrebbero fare concorrenza a Tesla e ai cinesi. La svedese Northvolt è all’avanguardia in questo campo, anche con la partecipazione degli ingegneri italiani. Anche di questo ne hanno scritto nei giorni scorsi.

Intanto, però, sul tema batterie c’è la questione, già accennata della produzione, ma anche quella del riciclaggio e dello smaltimento, cosa che preoccupa notevolmente l’Unione Europea che ha recentemente varato nuove norme per impedire che l’espandersi dell’uso di accumulatori possa poi essere una vera e propria “bomba ecologica” per l’ambiente. Regole che, per il mercato, ad esempio, non venivano aggiornate dal 2006. L’Ue ha stabilito i nuovi requisiti per tutte le batterie, in modo che – anche quelle d’importazione – possano essere prodotte, smaltite e riciclate correttamente.

Infatti, le emissioni legate alla produzione, ad esempio, di una batteria per veicoli elettrici (EV) sono all’incirca equivalenti alle emissioni prodotte da tutto il resto del veicolo. E’ la stima effettuata da due istituti di ricerca dell’Università della California, Berkeley, riportata in un brief di ricerca sulla fornitura globale di batterie per veicoli elettrici.

Come può la fornitura di batterie soddisfare la domanda in modo sostenibile? È la domanda che si sono posti i ricercatori del Centro di giurisprudenza della Berkeley School of Law, Energy & the Environment, insieme ai colleghi dell’Istituto di governance delle risorse naturali, mettendo in evidenza le aree critiche per l’industria del settore e i responsabili politici.

La struttura della catena di produzione delle batterie EV, secondo gli esperti, influenza le emissioni del ciclo di vita di un’auto elettrica. A fare la differenza, in termini di impatto ambientale, sono sia i materiali utilizzati sia le tecniche di produzione. Così come incide la distanza tra il luogo di origine dei materiali agli impianti di produzione, calcolando le emissioni prodotte con il trasporto dalle miniere alle raffinerie. E nei prossimi anni non potrà che aumentare la richiesta di litio, cobalto e grafene.

Tra grafene e sodio, il futuro delle super batterieRisulta più difficile individuare il ruolo delle batterie nelle emissioni del ciclo di vita totale di un veicolo elettrico, compreso l’uso su strada. Le migliori stime sono circa dal 5 al 15% del totale.

Lo studio individua alcune soluzioni per rendere più sostenibili e durature le batterie EV, come il riuso e l’integrazione con reti di produzione di energia rinnovabile (smart grid). Alcuni esperti prevedono una riduzione del 50% delle emissioni legate al ciclo di vita medio di un EV entro il 2030, fino a sperare che i veicoli elettrici arriveranno un giorno a produrre almeno il 90% in meno di gas serra rispetto a quelli legati al ciclo vita dei veicoli ICE.

Tutto questo si lega al dato diffuso nei mesi scorsi per cui, ad esempio, un veicolo su due entro il 2032 sarà mosso da energia elettrica. È quanto emerge dall’Energy Transition Outlook di DNV GL, uno dei principali enti di certificazione a livello mondiale.Insomma, batterie sempre più potenti, con dimensioni ridotte, che sfruttano componenti facilmente reperibili in natura senza depauperare l’ambiente, ma che possano anche avere una seconda vita al momento del loro riciclaggio: questi sono ormai i “binari” su cui si sta muovendo l’industria e la ricerca scientifica in tutto il mondo per consentire di immagazzinare energia da fonti rinnovabili, ridurre a zero l’uso di combustibili fossili e non intaccare le riserve di acqua e di minerali “preziosi” presenti in natura. Una scommessa che deve essere vinta nel breve periodo, per evitare che ci sia un ulteriore danno all’ambiente e alle stesse condizioni di vita e di salute della popolazione mondiale.

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