Energia nucleare: i reattori di IV generazione sono “puliti”? Come funzionano gli impianti di nuova generazione. Si possono considerare fonti di energia “pulita”?
Sembrava che la questione fosse stata ormai chiusa per sempre e dimenticata. E invece, dopo due referendum contrari (quello del 1987 e quello del 2011), oggi il nucleare torna a far parlare di sé. Perché se è vero che il Green Deal a cui aderiamo impone di portare a zero il bilancio netto di emissioni di gas serra in Europa entro il 2050, è anche vero che da qualche parte l’energia dobbiamo pur prenderla. E il nucleare, con tutti i suoi difetti, ha un indubbio vantaggio: non produce gas serra.
La questione è tornata di attualità a inizio 2022, quando la Commissione Europea ha deciso di inserire il nucleare all’interno di una lista di attività economiche considerate sostenibili dal punto di vista ambientale, la cosiddetta “tassonomia” prevista dal Green Deal europeo come strumento fondamentale per guidare i governi e le imprese nelle loro scelte di sviluppo.
Allora è vero che dovremmo usarlo? È giusto classificare questa forma di energia come “green”? Al di là degli slogan, è importante capire di che cosa stiamo parlando. Questo articolo ha proprio l’obiettivo di chiarire come funzionano, quali vantaggi e quali rischi comportano le centrali nucleari di nuova generazione.
Reazioni a catena. Il principio su cui si basano tutte le centrali nucleari è quello della fissione, in base al quale il nucleo di un elemento di grande massa come l’uranio-235 si scinde in due nuclei più piccoli emettendo un neutrone (i nuclei atomici sono composti da neutroni e protoni incollati tra loro dalle forze nucleari). Questo neutrone libero a sua volta può colpire un altro nucleo di uranio-235, stimolando un’altra reazione di scissione. In questo modo, si può innescare un processo a catena che genera energia e altri elementi di scarto (scorie).
L’energia che si libera è tanta, molta più di quella che possono produrre in proporzione le tradizionali reazioni chimiche di combustione; e questo è il motivo per cui si costruiscono queste centrali. Le scorie, e gli incidenti come quelli di Chernobyl (1986) e Fukushima (2011), invece, sono i principali motivi per cui il nucleare è mal visto da ampie fasce della popolazione. Nel frattempo, però, la tecnologia ha fatto passi avanti, per cui in un lasso di tempo relativamente breve si è passati dai reattori sperimentali di prima generazione, come quello di Latina del 1963, a quelli di quarta generazione che già si cominciano a studiare e che promettono di risolvere perfino il problema delle scorie; non solo quelle future, ma anche quelle esistenti. In mezzo, c’è un’infinita varietà di soluzioni sulle quali si dovrebbe focalizzare il dibattito.
Sicurezza, meglio passiva. «Oggi nel mondo ci sono 440 centrali, quasi tutte di seconda generazione, progettate negli ultimi 15-20 anni e tutto sommato stanno funzionando bene», spiega Marco Ricotti, docente di impianti nucleari al Politecnico di Milano. «Producono circa il 10% dell’energia elettrica, ma la percentuale si alza nei Paesi avanzati: l’Europa, che ha oltre 100 reattori, produce quasi un terzo di energia elettrica da fonti nucleari».
Per indicare le generazioni, come si fa normalmente, non ci sono in realtà classificazioni ufficiali. «Genericamente si indicano come reattori di prima generazione quelli nati negli anni ’60-’70», spiega Ricotti. «Erano reattori di piccole dimensioni, cioè attorno ai 2-300 megawatt (MW, o milioni di watt) di potenza.
La seconda generazione si è sviluppata dopo questa fase un po’ pionieristica, ed è caratterizzata da reattori sempre più grandi, per ridurre i costi sulla base di un’economia di scala: il nucleare – al contrario dei combustibili fossili – richiede infatti un elevato investimento iniziale per costruire l’impianto, mentre il funzionamento costa relativamente poco».
Seconda e terza generazione. Così negli anni ’80 e ’90 hanno cominciato a nascere reattori da 1.200-1.300 MW, come quello di Montalto di Castro (poi sospeso dopo il referendum) e il tristemente noto reattore di Fukushima in Giappone. La maggior parte dei reattori esistenti, lo ricordiamo, è di questo tipo. E in molti casi il loro tempo di vita viene esteso di 10-20 anni a fronte di miglioramenti in termini di combustibile, componenti e sicurezza. «A partire dal 2000, però, vengono progettati soprattutto reattori di terza generazione, per esempio AP1000 negli Stati Uniti, VVER-1200 in Russia, gli EPR francesi. Anche i cinesi stanno sviluppando nuove macchine», continua Ricotti. «Nel mondo, ci sono 50 reattori in costruzione. Rispetto alla generazione precedente, tutto il progetto di una centrale è migliorato: sono aumentate le taglie (fino a 1.600 MW), ma soprattutto è stato introdotto il concetto di sicurezza passiva».
L’idea è semplice quanto rivoluzionaria: invece di avere impianti di emergenza aggiuntivi che si attivano se qualcosa va storto, si fa uso di fenomeni naturali come la circolazione spontanea dei fluidi di raffreddamento, che quando sono più caldi si spostano verso l’alto e quando sono più freddi scendono verso il basso, chiudendo il ciclo (v. schema in apertura). «Con questi sistemi di sicurezza, probabilmente l’incidente di Fukushima sarebbe stato evitato», enfatizza Ricotti, ricordando come in quel caso il sistema di emergenza di raffreddamento del reattore, alimentato a gasolio, fosse stato messo fuori uso dall’ondata di tsunami. Un sistema passivo avrebbe continuato a funzionare.
Assemblabili, come Lego. Tra i reattori di terza generazione, ci sono però anche altre soluzioni sul tavolo. «Nel giro di 10-15 anni, dovremmo avere anche i cosiddetti Small Modular Reactors, cioè piccoli reattori di 100-300 MW, come quelli di prima generazione», illustra Ricotti. «Sembrerebbe un passo indietro, ma non è così: è cambiata tutta la progettazione. Molti componenti che prima stavano fuori dal reattore (pompe, generatore di vapore ecc.) ora sono integrati in un’unica struttura che semplifica il design e consente di adottare più facilmente sistemi di sicurezza passiva. In più, essendo piccoli, questi reattori costano meno e quindi hanno un rischio finanziario inferiore». Infatti possono essere pensati come Lego, in quanto sono costituiti da pezzi standardizzati da assemblare sul posto, evitando enormi cantieri. E ciò consente la costruzione di grandi centrali formate da moduli più piccoli aggiunti nel tempo.
In miniatura. Ci sono infine i microreattori, che sono ancora più piccoli (da 1 a 10 MW) e semplici da costruire. «Sono pensati per obiettivi specifici, come miniere, strutture situate in luoghi isolati o impervi, e situazioni di emergenza», spiega Ricotti. I microreattori, infatti, potrebbero stare in un container ed essere trasportati dove serve.
La linea più avanzata della ricerca riguarda però la quarta generazione. In questo caso, la differenza principale è nel cuore del reattore. Infatti gli impianti attuali si basano tutti su un’idea che risale a Enrico Fermi: immergere le barre di combustibile nell’acqua, per raffreddarle e al tempo stesso per rallentare la velocità dei neutroni emessi dalle reazioni, che si muovono da una barra all’altra. Così facendo, come aveva capito Fermi, aumenta la probabilità di fissione del combustibile principale usato, l’uranio-235. In pratica, la combustione nucleare avviene meglio.
I reattori fino alla terza generazione, basandosi su quest’idea, si dice dunque che usano neutroni “lenti”. «Quelli di quarta generazione, invece, usano neutroni veloci», illustra Ricotti, «quindi non ci sono più le barre immerse nell’acqua. Questi reattori devono essere raffreddati in modo diverso, si pensa soprattutto a metalli liquidi (sodio, piombo o sali fusi) – che scambiano molto bene il calore – o a gas ad alta temperatura». Sono sistemi più complicati e costosi, ancora in via di sviluppo, ma appaiono promettenti.
Riciclo perfetto. Il bello di questa tecnologia è che consente di usare combustibili nucleari molto più abbondanti (l’uranio-235 è infatti raro e costoso) e perfino di avere neutroni in eccesso che possono essere utilizzati anche per “bruciare” i rifiuti nucleari più pericolosi, gli elementi transuranici, che hanno un tempo di vita molto lungo.
«I russi, che sono molto avanti su questo fronte ed entro il 2029 vorrebbero avere un reattore dimostrativo, stanno costruendo in realtà un impianto triplo (nell’illustrazione in alto, il progetto): uno che genera energia, uno che separa i rifiuti (composti da un mix di elementi) e uno che li inserisce nel nuovo combustibile, da bruciare nel reattore. Se si riuscisse in questo, si porterebbe il tempo della radiotossicità del combustibile esaurito da 100mila anni a 300 anni, e non ci sarebbe più bisogno di cercare siti geologici stabili e profondi per la loro conservazione».
Ci sarebbe anche un altro vantaggio: l’uranio-235 e il plutonio usati negli attuali reattori possono trovare applicazione anche nello sviluppo di armi atomiche. Usando altri combustibili, i reattori di quarta generazione potrebbero dunque sollevare meno problemi di natura geopolitica.
Tornando ai rifiuti, Ricotti ritiene comunque che già oggi il problema, per quanto innegabile, sia più contenuto di quanto appaia: «Basta fare un semplice confronto», dice. «Ogni anno l’Europa produce milioni di tonnellate di rifiuti tossico-nocivi (arsenico, mercurio ecc.) con le attività industriali. I rifiuti nucleari, sempre in Europa, sono migliaia di metri cubi. Ci sono ordini di grandezza di differenza (v. schema sopra), e non è che i rifiuti chimici siano meno pericolosi. Quindi, la dimensione del problema è molto sopravvalutata. E poi, fino a ieri, per i rifiuti radioattivi più pericolosi non c’era una soluzione. Ma, come abbiamo visto, tra pochi anni (se tutto va bene, ndr) la soluzione ci sarà».
Atomo. Gli atomi sono i componenti di base della materia organica e inorganica. Sono composti da un nucleo molto piccolo (che ha carica elettrica positiva) e da una nuvola di elettroni (che hanno carica elettrica negativa).
Nucleo. Il nucleo atomico è composto da protoni e neutroni. I protoni sono particelle con carica elettrica positiva, mentre i neutroni sono neutri.
Isotopi. Atomi di un determinato elemento che hanno diverso peso atomico, ma stesse proprietà chimiche. In pratica, gli isotopi hanno lo stesso numero di protoni ed elettroni (detto “numero atomico”) e un diverso numero di neutroni. Per questo gli isotopi di solito si indicano riportando il numero di massa, che corrisponde alla somma di protoni e neutroni. Due isotopi dell’uranio, per esempio, sono l’uranio-235 e l’uranio-238.
Energia nucleare. Normalmente, le fonti di energia (elettrica, chimica, fotovoltaica) che utilizziamo si basano su variazioni della struttura esterna degli atomi, dove si trovano gli elettroni. L’energia nucleare, invece, si ottiene invece dai processi molto più energetici che avvengono all’interno dei nuclei atomici. Le reazioni nucleari possono essere di fissione o di fusione.
Fissione nucleare. La fissione nucleare si ottiene quando un nucleo pesante si scinde in due nuclei più leggeri. Questo è il processo usato negli impianti attualmente in funzione e in progettazione, e anche nella produzione di armi.
Fusione nucleare. La fusione avviene quando due elementi leggeri si uniscono per formarne uno più pesante. Queste reazioni fanno brillare il Sole e le stelle, ma sono più difficili da utilizzare per produrre energia, per cui al momento esistono solo impianti sperimentali.
Combustibili nucleari. Sono gli elementi che si usano per attivare le reazioni nucleari, che li trasformano in altri elementi. I combustibili più comuni per la fissione – fino alla terza generazione – sono l’uranio-235 e alcuni isotopi del plutonio, che sono piuttosto rari.
Massa critica. La massa minima necessaria ad attivare le reazioni a catena che permettono ai processi nucleari di autosostenersi, generando energia.
Elementi transuranici. Sono gli elementi più pesanti, con numero atomico maggiore di 92 (quello dell’uranio), come nettunio, plutonio, americio. Questi elementi sono anche i più pericolosi, perché possono avere tempi di decadimento molto lunghi.
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