L’uomo è riuscito ad alterare il corso naturale delle stagioni. Le nostre emissioni influenzano la bassa atmosfera: uno studio su 40 anni di dati satellitari dimostra che le temperature estive salgono molto velocemente e causano squilibri stagionali nell’emisfero settentrionale.
Le emissioni legate alle attività antropiche (le nostre) stanno accelerando la fusione dei ghiacci, influenzano le abitudini migratorie degli animali, intensificano il rischio di incendi. E c’è di più: uno studio basato su 40 anni di rilevazioni satellitari fornisce per la prima volta conferma del fatto che gli esseri umani sono riusciti ad alterare il ciclo naturale delle stagioni, e che gli effetti del riscaldamento globale si estendono fino alla troposfera, la regione più bassa dell’atmosfera terrestre (dal suolo a 10-15 km di quota).
Da un’altra prospettiva. Il lavoro, che invitiamo a considerare una “evidenza definitiva” contro gli scettici del global warming, è stato pubblicato su Science. Finora le ricerche sul clima si erano concentrate sulle rilevazioni delle temperature al suolo; questo studio, coordinato da Benjamin Santer, scienziato dell’atmosfera del Lawrence Livermore National Laboratory, in California, è il primo a individuare cambiamenti stagionali nell’atmosfera terrestre dovuti, senza ombra di dubbio, alle emissioni di gas a effetto serra prodotte dalle attività umane.
«Quello che i dati mostrano è una marcata evidenza dell’impatto dell’uomo sul clima, non solo sulle temperature medie globali, ma anche sul ciclo stagionale», spiega Santer. Le probabilità che la naturale variabilità climatica possa spiegare, da sola, la rilevanza delle variazioni di temperatura registrata in 40 anni di dati satellitari sono circa di cinque su un milione, sottolineano i ricercatori.
In particolare, è emerso che le temperature estive stanno crescendo molto più rapidamente di quelle invernali, e che ciò determina, soprattutto nell’emisfero settentrionale, più intensi “sbalzi” di temperatura tra la “bella” e la “brutta” stagione.
Il metodo. I ricercatori hanno condotto simulazioni computerizzate del clima globale con e senza il contributo delle emissioni di gas serra. Sono stati così in grado di ricavare l’impronta delle attività umane sulle condizioni atmosferiche. Hanno poi confrontato questi dati con le rilevazioni satellitari delle temperature dal 1979 al 2016: è parso da subito chiaro che le variazioni naturali del clima terrestre non possono da sole spiegare tutti i cambiamenti osservati nei cicli climatici stagionali.
Per darne ragione è necessario includere il riscaldamento globale causato dall’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera. I cambiamenti di maggiore rilievo riguardano l’emisfero settentrionale, dove la differenza media di temperatura tra estate e inverno è aumentata, nel periodo considerato, di 0,4 °C, in particolare perché le temperature estive stanno salendo più rapidamente.
Lo stesso verdetto. In sostanza, dati satellitari e modelli climatici si trovano in accordo sul fatto che stiamo intervenendo sulla naturale “marcia” delle stagioni, ancora più di quanto non lo siano – e lo sono – gli studi sull’aumento delle temperature medie globali annue. Santer ha sottolineato di aver pensato a questo lavoro anche per contrastare una delle argomentazioni classiche dei negazionisti del clima, ossia che i satelliti, in alcune occasioni, abbiano registrato aumenti di temperatura minori di quelli rilevati dalle stazioni meteorologiche di terra.
Questa discrepanza, inizialmente dovuta a errori di calibrazione dei sensori dei satelliti, è stata ampiamente risolta negli ultimi 20 anni. Tuttavia, l’argomentazione non era ancora passata di moda, nemmeno tra i decisori politici (uno tra tutti: l’ormai ex capo dell’EPA Scott Pruitt). La conferma ora che anche i satelliti “vedono” lo stesso effetto, e in modo così decisivo, dovrebbe mettere fine a queste argomentazioni. Ma forse, ancora una volta, no.
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