Le anfetamine usate dai terroristi dell’Isis sono solo le ultime di una lunga serie di sostanze usate in guerra per togliere le inibizioni, sconfiggere la paura, sopportare la fatica e innalzare la soglia del dolore. Dai nazisti ai soldati vichinghi, passando per Vietnam e Afghanistan, la tragica storia della chimica al fronte.
GLI EFFETTI. Perdita di giudizio, resistenza alla fatica, euforia e abbandono di ogni inibizione sono tra gli effetti delle pasticche, vendute dai 5 ai 20 dollari a dose. Chi le assume può non mangiare o dormire per giorni, ed è pervaso da un senso di onnipotenza che fa sentire invincibili. Siringhe con tracce di Captagon – si può anche iniettare – sono state trovate nella casa di uno degli attentatori di Parigi e la stessa droga era nel sangue di uno dei terroristi di Sousse, Tunisia. Ma quella tra guerre e droghe è un’associazione ricorsa più volte negli anni bui dell’ultimo secolo.
NAZISTI. Di anfetamine fecero largo uso, per esempio, i soldati di Hitler. Quando il 14 maggio 1940, dopo solo 4 giorni, le truppe dell’armata nazista conquistarono l’Olanda, fu determinante la loro capacità di combattere senza sosta, giorno e notte, senza dormire. Secondo quanto sostenuto da Norman Ohler nel recente saggio Der totale Rausch (“La totale euforia”), questa resistenza sarebbe stata garantita dal Pervitin, un “farmaco militarmente prezioso” usato regolarmente anche dal generale Rommel e dallo stesso Hitler.
DIPENDENZA. Di metanfetamine si servì, tra il 1939 e il 1945, l‘esercito giapponese, che nel dopoguerra avrebbe pagato cari gli effetti dell’abuso di queste sostanze.
TEMPI MODERNI. La lista continua fino ai giorni nostri. Un farmaco stimolante creato per curare la narcolessia e inserito nella lista “proibita” delle sostanze dopanti – il Modafinil – è attualmente testato su soldati di varie nazionalità per prolungare il numero di ore di veglia delle truppe (si arriva a 48 ore senza dormire). Fu dato per la prima volta ai piloti dell’Air Force americana nel 2003 in occasione dell’invasione in Iraq e si lavora ora alla struttura della molecola per prolungare ulteriormente la capacità di rimanere svegli.
L’utilizzo di anfetamine tra i soldati americani in Afghanistan è invece emerso, per esempio, con l’incidente della Tarnak farm, nel 2002, quando il pilota di un F-16 statunitense, forse sotto anfetamine, uccise con fuoco amico quattro soldati canadesi.
INVINCIBILI (PER UN PO’). Prima della battaglia i Berserkir, feroci guerrieri vichinghi votati al dio supremo della guerra Odino, entravano in una sorta di trance che li rendeva particolarmente feroci e insensibili al dolore. Credendosi invulnerabili, si lanciavano sul nemico vestiti di sole pelli, forse sotto effetto di droghe.
La stessa fiera esaltazione guidava gli hashshashin, la principale setta degli ismailiti, una corrente dell’Islam sciita, contro cui combatterono i Crociati nel 1200. Sembra che il loro nome, da cui deriva il termine “assassini“, venga dal plurale arabo al-Hashīshiyyūn, “coloro che sono dediti all’hashish” (ma non tutti concordano con questa etimologia).
DA UN ESTREMO ALL’ALTRO. I guerrieri Inca masticavano foglie di coca per restare svegli; allo stesso scopo, due secoli fa, i soldati Prussiani assumevano cocaina (la consuetudine sarebbe rimasta anche in seguito, con caffeina e nicotina ad aggiungersi al cocktail). E l’elenco potrebbe continuare di cultura in cultura, di sostanza in sostanza, con effetti analoghi e sempre le stesse, tragiche conseguenze.
Ad attacco compiuto, stare svegli e vigili non serviva più: allora si ricorreva alle droghe per sopportare il dolore di perdite, ferite e amputazioni. Tra il ‘700 e il ‘900, la morfina fu ampiamente usata per curare le ferite da arma da fuoco e persino la dissenteria tra i soldati impegnati in battaglia. Tanto che dopo la Guerra Civile americana, si coniò l’espressione “soldier’s disease” o “Army disease” per indicare la dipendenza da questa sostanza.
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