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Investire in Africa, nuove opportunità per le industrie italiane

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Appalti miliardari e missioni militari. Ora l’Italia scommette sull’Africa. Terzo investitore dopo Cina ed Emirati. La strategia tra Libia e Niger. L’Italia ha una strategia per l’Africa. Economica e anche militare. Lungamente trascurato, il continente ha riacquistato una sua visibilità nelle agende europee per il fenomeno delle migrazioni e le instabilità causate dalle primavere arabe e dall’improvvido intervento militare in Libia. Ma dare un futuro all’Africa significa anche investire per creare sviluppo e opportunità. Dare elettricità affidabile e il più sostenibile possibile a 650 milioni di persone che ne sono prive. Migliorare sanità ed educazione. Aumentare l’interscambio commerciale. Quello tra Africa e Italia è oggi di 34 miliardi di euro, e gli uffici studi stimano realistica una crescita del 5% all’anno, con picchi ben maggiori per Paesi come Egitto, Nigeria, Ghana, Etiopia, Mozambico, Libia. Il boom è possibile anche perché 55 Paesi africani stanno lavorando dal 2015 alla creazione del Cfta, uno spazio economico africano sul quale l’accordo dovrebbe essere chiuso entro il 2018 che tra fra 5 e 10 anni dovrebbe rimuovere le tariffe sul 90% delle merci. Lo spazio di crescita sul medio periodo è enorme e gli effetti su questioni epocali come le migrazioni sono rilevanti: più sviluppo significa meno necessità di lasciare il proprio Paese in cerca di fortuna. Più opportunità significa meno esodi verso l’Europa.

In Africa c’è spazio anche per gli investimenti; sorprendentemente l’Italia lo ha capito e dopo una serie di missioni politiche di alto livello (da Renzi a Gentiloni a Mattarella più una raffica di ministri), ha sostenuto le aziende che vogliono investire in Africa giungendo ad essere – dati 2016 dell’African economic outlook dell’Ocse – il terzo Paese investitore nel continente con 11,8 miliardi di euro, alle spalle della Cina con 38,4 miliardi e degli Emirati Arabi con 14,9 miliardi. E questa è una vera novità. Va detto che degli 11,8 miliardi ben 8,1 sono dell’Eni, che opera in 16 Paesi e ha grossi investimenti in Egitto, Mozambico e Nigeria. Ma anche Enel si sta muovendo bene e così le aziende di costruzioni, quelle della meccanica, tradizionale punta di lancia dell’export italiano. E anche l’agroalimentare inizia a muoversi. Ovviamente non siamo i soli a muoverci. La Cina è in Africa il player globale ma si muovono anche la Commissione europea – stanziati 4,1 miliardi, di cui 1,5 a garanzia di progetti di privati che mobiliteranno, di qui al 2020, 44 miliardi di investimenti – e lo fanno Paesi come la Germania e, naturalmente, la Francia. Già, la Francia.

Al rinnovato interesse economico italiano per l’Africa si accompagna uno spostamento del focus delle missione militari verso l’Africa. La necessità di confrontarsi con gli amici francesi arginandone l’attivismo, in Libia e non solo, non è indifferente nella scelta. Oggi i ministri della Difesa e degli Esteri, Roberta Pinotti ed Angelino Alfano, in vista della discussione del decreto missioni prevista per dopodomani, illustreranno in un’audizione alle commissioni congiunte della Camera le nuove missioni in Africa. «In un’area geografica – dice la relazione illustrativa del governo sul decreto che le finanzia – ritenuta di prioritario interesse strategico in relazione alle esigenze di sicurezza e difesa nazionali».
Oltre a quella ampiamente pubblicizzata in Niger che occuperà fino a 470 uomini, 130 mezzi terrestri e 2 aerei ci sarà così una nuova missione in Libia con 400 militari e 130 mezzi che accorpa le due già avviate (operazione Ippocrate e il supporto alla Guardia costiera libica) e la partecipazione alla missione Nato in Tunisia dove manderemo 60 uomini supporto per aiutare l’esercito tunisino a costituire un comando di livello brigata. Il tentativo è evitare che i player tradizionali continuino a fare il bello e il cattivo tempo remandoci contro.

Il rischio oggettivo, avviando una missione in un paese in orbita francese come il Niger, è quello di fare i portatori d’acqua di Macron. Grazie ai contingenti tedeschi, italiani, spagnoli e belgi, Parigi potrà alleggerire gli organici dell’operazione Barkhane e continuare a coordinare la missione di supporto al G5 Sahel. Ma non esserci probabilmente era peggio. Il problema sarà non fare gli ascari di Macron e ritagliarsi un ruolo anche politico nell’area. E l’apertura dell’ambasciata in Niger è un piccolo ma significativo passo in quella direzione.

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