Anche la lunga telefonata di ieri tra la cancelliera e il premier cinese Xi Jinping e il comunicato successivo in cui si sottolinea l’importanza del libero commercio fa pensare a un avvicinamento un po’ teatrale tra Est e Ovest. Volto a segnalare al presidente americano che l’isolazionismo rischia di danneggiare il suo Paese anche perché spinge ad alleanze più forti tra le altre aree del mondo, affatto intenzionate a rinunciare al libero scambio.
A Baden Baden, Wolfgang Schäuble è il padrone di casa di un summit dei 20 “big” dall’epilogo incerto. Potrebbe essere, nella peggiore delle ipotesi, l’inizio di una deriva cacofonica. Sarà il comunicato finale a rivelare moltissimo sul futuro del G20. Il termometro dei rapporti futuri sarà il grado di forza o di vaghezza degli impegni comuni. A cominciare dal fatto che per la prima volta potrebbe sparire quello, reiterato sempre, nell’ultimo decennio, a evitare il protezionismo.
Ieri fonti governative segnalavano che i maggiori problemi si stanno registrando attorno alla parola del commercio “equo”, utilizzata anche ieri da Mnuchin. Per il presidente, ha sottolineato, il commercio “deve essere libero ma equo”. E attorno a quel termine, che evoca vincoli e condizioni, si stanno dannando gli sherpa. Anche se Mnuchin si è spinto a dire che “non vogliamo guerre commerciali”.
Ma per la prima volta in dieci anni, conferma una fonte del G20, i “big” del globo potrebbero decidere persino di cancellare tout court la parte del comunicato che fa riferimento al commercio, delegando il negoziato ai capi di Stato e di governo. Del resto, se i rappresentanti della più grande potenza del mondo frenano sull’ipotesi di menzionare in modo negativo il termine “protezionismo” è anche perché è il loro presidente a decidere. E cosa stia decidendo Trump, è nelle stelle.
Un altro tema sempre stato a cuore dell’ospite, la Germania, è quello dei cambiamenti climatici. La stessa fonte del G20 riferisce che “il negoziato è ancora in corso”, dopo che alcune voci riportavano che a causa dell’opposizione degli Stati Uniti, dell’Arabia Saudita e altri, nella nota finale del G20 sarebbe potuto sparire.
Una schiarita si è registrata, già nelle parole del responsabile del Tesoro americano, sul tema centrale delle valute. Dopo le bordate di Trump contro il dollaro “troppo forte”, il suo segretario al Tesoro ha detto ieri di ritenere “nel lungo termine il rafforzamento del dollaro come positivo” perché è un sintomo della salute dell’economia. Mnuchin non è neanche tornato ad attaccare l’euro, come i suoi colleghi o Trump. Ha detto che è una moneta che “mette insieme molti Paesi”. E nella bozza del comunicato finale che è ora all’esame dei ministri delle Finanze e dei governatori centrali, secondo fonti del G20, è riconfermato dunque l’impegno a evitare una guerra delle valute, insomma “svalutazioni competitive”. Il ministro delle Finanze giapponese, dopo un bilaterale con Mnuchin, ha riferito che “siamo d’accordo che è importante mantenere gli accordi del G7 e sul G20 sui cambi”.
Il formato allargato dei Grandi del mondo, avviato per affrontare con maggiore efficacia il terremoto della Grande crisi ma anche nella consapevolezza che in un mondo multipolare il caminetto tradizionale del G8 era insufficiente, ha sempre funzionato su alcuni assunti – tutti messi ora in discussione dal Paese più potente, dalla nuova America di The Donald. A partire dall’impegno a regolamentare maggiormente un settore finanziario che lo tsunami da subprime aveva dimostrato essere un pericoloso incubatore di catastrofi globali.
Ieri Mnuchin non ha aggiunto ufficialmente nulla ai confusi messaggi che arrivano da Washington sulle presunte intenzioni di tornare a un mercato deregolamentato. “Stiamo esaminando il Dodd-Frank”, si è limitato ieri a dire il segretario al Tesoro. Ma una fonte presente all’incontro sostiene che Washington non ha intenzione di tornare al “far west” precedente al 2007: “il Dodd-Frank non sarà smantellato”. Nei giorni scorsi gli appelli a non tornare indietro su regole più stringenti per le banche si erano moltiplicati, da Mario Draghi a Schäuble al governatore della Bundesbank, Jens Weidmann.
Altrettanto importante sarà il tema del commercio, anche qui la guerra alla globalizzazione e la minaccia di dazi della nuova amministrazione statunitense mette in discussione un pilastro su cui non si sono mai registrate divisioni, in seno al G20. Anche su questo fondamentale tema, che Trump usa come grimaldello non tanto contro l’Europa quanto contro la Cina, Mnuchin non si è sbottonato: “ne parleremo al congresso”. Il responsabile del Tesoro ha però ammesso che tra le ipotesi resta anche quella dei dazi. Alla vigilia del G20, la numero uno del Fmi Christine Lagarde ha invitato i “big” e soprattutto Washington “a non farsi male da soli” con neo protezionismi.
Sul punto di maggiore attrito tra Washington e Berlino, il surplus di bilancio, Schaeuble ha ribadito anche ieri che “non ho sentito ancora un argomento convincente su come ridurlo”, ha ricordato che la spinta fornita dall’euro debole deriva da decisioni prese dalla Bce che tiene conto di 19 Paesi e ha sbottato: “noi non chiediamo certo alla California di ridurre il suo sovrappiù di commercio”.
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