Titanio e palladio dalla Russia. Europa vittima collaterale se ci sarà l’embargo. Il metallo prezioso si è impennato del 10% sulla voce che gli Usa puntano a una stretta da parte del G7. Ma è soprattutto nel caso del titanio che la Ue si troverebbe nei guai (mentre Washington potrebbe guadagnarci).
A fine settembre era stato il Cremlino a suscitare allarme sulle forniture di metalli strategici dalla Russia, ventilando l’ipotesi di un blocco dell’export come ritorsione alle sanzioni occidentali. Meno di un mese dopo sono gli Stati Uniti a rivolgere contro Mosca la stessa arma di pressione, in un fuoco incrociato di minacce in cui la vittima collaterale rischia comunque di essere l’industria europea.
Nello specifico Washington avrebbe messo nel mirino palladio e titanio, per cui vorrebbe ottenere un embargo da parte del G7. Soprattutto nel caso del titanio – insostituibile nell’aeronautica civile e militare – i Paesi Ue incontrerebbero difficoltà enormi, se non addirittura insormontabili, nel riorganizzare le catene di approvvigionamento. Gli Usa al contrario potrebbero essere avvantaggiati.
Al momento ci sono solo indiscrezioni: secondo fonti Bloomberg la messa al bando delle importazioni dei due metalli dalla Russia è stata proposta agli alleati del G7, tra cui Italia, Francia e Germania, a margine degli incontri del Fondo monetario e della Banca mondiale in corso questa settimana (dal 22 al 25 ottobre) nella capitale Usa. Ma la reazione sul mercato evidenzia che le voci sono ritenute credibili e che l’embargo non sarebbe indolore.
Il palladio – l’unico dei due metalli ad essere quotato su mercati finanziari – ha registrato rialzi vicini al 10% al Comex di New York, fino a sfiorare 1.170 dollari l’oncia, mentre a Londra il prezzo spot ha superato 1.142 dollari, sui massimi da dicembre 2023 (subito dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022 era volato oltre 3.400 dollari). Anche i titoli dei maggiori produttori sudafricani si sono impennati di circa il 10%.
Il gigante russo Norilsk Nickel controlla circa il 40% della produzione mineraria globale e un embargo, commenta Giovanni Staunovo di Ubs, «farebbe salire i prezzi in modo considerevole». Il metallo è impiegato soprattutto nelle marmitte catalitiche (le auto ibride ne richiedono quantità maggiori), ma anche ad esempio in alcuni tipi di elettrolizzatori, le macchine per produrre idrogeno verde.
Dopo l’invasione dell’Ucraina molti utilizzatori, anche in assenza di sanzioni, hanno già cambiato fornitore, acquistando soprattutto in Sudafrica. Nella Ue in ogni caso la produzione mineraria di palladio è irrisoria (se ne estrae solo in Finlandia) e anche se il tasso di riciclo è alto dipendiamo dall’estero per circa metà del fabbisogno di metallo raffinato. Questo dovrebbe crollare con la diffusione delle auto elettriche, che però finora procede a rilento.
Secondo uno studio della Commissione Ue «nel prossimo decennio forniture addizionali di palladio sono attese soprattutto da Sudafrica, Zimbabwe e Usa», ma «nel breve termine non c’è nessuno che equivalga alla Russia in termini di capacità di produzione e di esportazione» e la Ue «non riuscirà a rendersi autonoma da Mosca» prima della transizione alla mobilità elettrica.
La sfida, come si accennava, è ancora più difficile nel caso del titanio: una materia prima non molto rara sulla crosta terrestre, ma che solo in minima parte si presta ad ottenere la spugna (polvere metallica purissima) e le leghe adatte all’uso in aeronautica.
In questo settore il numero uno al mondo, unico gruppo integrato in grado di fornire ogni tipo di prodotto, è la russa VSMPO-Avisma, controllata dallo Stato, con cui la statunitense Boeing ha troncato i rapporti fin dal 2022, mentre Airbus (come altri) tuttora n0n riesce a emanaciparsi del tutto, tant’è che il Canada le ha concesso un’esenzione speciale a febbraio, quando ha imposto sanzioni contro la società russa: per ottenerla ha dovuto intercedere di persona il presidente francese Emmanuel Macron.
Per la spugna di titanio di qualità aeronautica gli unici fornitori alternativi alla Russia sono in Giappone e in Kazakhstan. Alcuni altri Paesi producono lingotti e altri semilavorati. Ma l’Europa anche di questi ha una produzione molto limitata. In più non ha capacità di riciclo, né può crearla.
Il problema è una «relazione asimmetrica» con gli Usa, portata alla luce a luglio da un paper del think tank Chatham House: la Ue non riesce a riutilizzare i rottami metallici contenenti titanio, perché per il 70% finiscono negli Usa. Esportarli è un obbligo sancito da contratti commerciali, grazie ai quali Washington invece sta guadagnando autonomia da Mosca: i rottami europei, insieme a quelli raccolti sul mercato domestico, vengono mescolati a spugna importata dal Giappone. Leghe e prodotti in titanio – a questo punto «made in Usa» – vengono poi in parte esportati. Ovviamente anche in Europa.
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