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Il dietrofront sulla energia USA verso il carbone fossile

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Il dietrofront sull'energia USA verso il carbone fossile
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Il carbone per Trump: nella “terra nera” delle miniere Usa, addio alle “rinnovabili”. Viaggio in Ohio, dove il dietrofront ambientale degli Usa è già realtà. “Così le energie fossili saranno di nuovo la prima fonte d’America”. Ogni 35 minuti vengono riempite le chiatte da 1.700 tonnellate in viaggio verso le centrali elettriche. “Un anno fa arrivò Hillary per dirci che dovevamo chiudere: così abbiamo tutti votato per Donald”

“Cinquant’anni fa questa era la terra del King Coal, il re carbone. Oggi non siamo più dominanti ma siamo pur sempre della famiglia reale”. Così riassume la rinascita del capitalismo a carbone Ed Spiker, manager di Westmoreland Resources. Mi rivela in anticipo un sorpasso clamoroso: “L’anno prossimo, secondo i dati ufficiali del governo, il carbone tornerà ad essere la prima fonte di alimentazione delle centrali elettriche americane, il 38% della corrente la produrremo noi, contro il 36% del gas naturale “.

È un’inversione di tendenza che sarebbe stata impossibile sotto l’Amministrazione Obama, che in omaggio agli accordi di Parigi fece di tutto per penalizzare le energie fossili. Ma Donald Trump sconfessa la lotta al cambiamento climatico e accelera la deregulation energetica. Proprio in queste ore, applicando gli ordini del presidente, l’Environmental Protection Agency smantella i limiti alle emissioni carboniche delle centrali elettriche. In mezzo a questo revival del carbone incontro Spiker sul suo luogo di lavoro: in riva al fiume Ohio che dà il nome allo Stato. È una di quelle autostrade fluviali che sono le arterie strategiche del trasporto merci, l’Ohio confluisce nel Mississippi.

Siamo circondati da un viavai ininterrotto di camion. Arrivano dalle miniere a cielo aperto delle colline cicostanti, rovesciano carbone sulle montagne nere di questo vasto deposito. Da un silos il carbone viene trasportato su carrelli mobili che finiscono nella pancia delle chiatte fluviali attraccate sul molo qui a fianco. Ogni 35 minuti viene riempita una chiatta da 1.700 tonnellate, che parte lungo il fiume per raggiungere le centrali elettriche della regione: Ohio, Pennsylvania, Kentucky, West Virginia. “È per questo che noi del Midwest paghiamo bollette della luce più basse di voi newyorchesi, la nostra elettricità va a carbone”, mi dice Spiker.

Un’altra varietà di questa “terra nera” – il coaking coal – finisce nelle tante acciaierie di questa zona. Per arrivare fino al porto di Bellaire, in un’ora e mezza di strada da Pittsburgh, ho attraversato quello che fu il cuore del primo capitalismo americano. Qui hanno costruito le loro fortune le famiglie Carnegie, Mellon, Frick, i protagonisti della rivoluzione industriale che fecero affluire immigrati dall’Italia, dalla Polonia, per lavorare nelle miniere e negli altiforni. Oggi questa Rust Belt, “cintura della ruggine”, è afflitta dalla deindustrializzazione, impoverita e spopolata dopo decenni di concorrenza cinese. Ma chi non si rassegna al declino ha trovato il suo profeta: Trump ha promesso una seconda vita al Re carbone. È una delle ragioni per cui oggi si trova lui alla Casa Bianca.

“Un anno fa – ricorda Spiker – Hillary da queste parti venne a dire che le miniere andavano chiuse, che il futuro è delle energie rinnovabili. Molti dei miei collaboratori e dipendenti, che avevano votato sempre democratico, a quel punto hanno scelto Trump”. Voti decisivi, in questi “swing State” del Midwest che sono passati dalla casella democratica a quella repubblicana. Proprio qui si è giocata su minuscole frazioni percentuali l’elezione dell’8 novembre scorso. E Trump oggi restituisce il favore. “Le leggi di Obama – dice Spiker – ci stavano facendo parecchio male, la svolta di Trump è ottima per noi”. A 61 anni, con alle spalle una formazione in Scienze politiche, questo manager che ama le canzoni di Celentano e ha una famiglia multietnica (nuore e generi cinesi e ispanici) non è un “trumpiano” a oltranza. La sua difesa del capitalismo a carbone è moderata. “Voi ambientalisti – dice – ci considerate persone malvagie, ma l’industria del carbone oggi deve rispettare standard di sicurezza molto severi, e le ex-miniere esaurite le riconvertiamo all’agricoltura. Certo questo presidente a volte ci fa inorridire e anch’io sogno per i miei nipoti un pianeta senza inquinamento, senza energie fossili. Solo che non è realistico immaginare di arrivarci subito. Carbone e gas naturale allo stato attuale delle conoscenze tecnologiche sono le uniche fonti disponibili alle tre di notte, quando il sole non c’è. O in un lungo inverno gelido senza vento, quando le pale eoliche si fermano. Del resto continuiamo a esportare carbone in paesi ambientalisti come la Germania e l’Olanda. Ne esportiamo in Cina e in India, che pure hanno firmato gli accordi di Parigi “.

Obama-Clinton in realtà volevano solo accelerare coi giusti incentivi e sanzioni la transizione verso un futuro migliore. Ma adesso siamo in piena rivincita del carbone, per via di quelle frasi che Hillary venne a dire un anno fa a questi minatori. “La candidata democratica – ricorda Spiker – a noi offriva genericamente una riconversione verso altri mestieri. Più facile dirlo che farlo. Com’è evidente, non ha convinto, da queste parti”.

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