
La balena di Leonardo da Vinci era un fossile vero, non un mostro di fantasia. Un team di ricercatori dell’Università di Pisa e dell’Università di San Diego in California (Usa) ha analizzato sia dal punto letterario che paleontologico alcuni passaggi contenuti nel Codice Arundel. E ha scoperto che il genio italiano ha dato un contributo importante alla nascita della paleontologia dei vertebrati 300 anni prima del francese Georges Cuvier.

Quando intorno al 1480 il giovane Leonardo Da Vinci scriveva di un “potente e già animato strumento dell’arteficiosa natura” capace di indurre “impaurite schiere dè delfini e dè gran tonni fugire” che oramai giaceva con le sue “spolpate ispogliate e ignude ossa” non stava fantasticando su di un mostro marino. Né, come da molti studiosi ipotizzato, stava componendo una poesia o rielaborando letture classiche mitologiche. Il genio toscano si stava invece cimentando con una descrizione dei resti fossili di una balena affioranti da una parete, quasi fosse un muro di contenimento, una “armadura e sostegno al sopra posto monte“. Di fatto, e per la prima volta nella storia, Leonardo stava osservando e riportando su carta le caratteristiche di un cetaceo fossile dando un contributo importante alla nascita della paleontologia dei vertebrati ben trecento anni prima di colui che è considerato il padre di questa scienza: il francese Georges Cuvier.
A queste conclusioni è giunto un team di scienziati costituito da ricercatori dell’Università di Pisa e dell’Università di San Diego in California (USA) analizzando si dal punto letterario che paleontologico alcuni passaggi contenuti nel Codice Arundel, una miscellanea di manoscritti leonardiani autografi conservata presso la British Library di Londra e consultabile liberamente online. Lo studio, “On Leonardo and a fossil whale: a reappraisal with implications for the early history of palaeontology“, pubblicato sulla rivista Historical Biology, ha passato al setaccio ogni riferimento al presunto mostro marino riportate sui fogli 155r e 156r.

“Il testo leonardiano che abbiamo studiato è ricco di frasi incomplete e tormentate correzioni ma risulta abbastanza esplicito se letto con gli occhi di uno scienziato esperto” spiega Alberto Collareta, paleontologo dell’Università di Pisa e primo firmatario della ricerca. “Tant’è che la biologa statunitense Kay Etheridge aveva già interpretato la descrizione come quella di una balena pubblicando la sua ipotesi nel 2014. Le sue supposizioni, però, presentavano un punto debole di non poco conto per un paleontologo esperto che conosce la Toscana: Leonardo avrebbe trovato la balena fossile in una caverna.
Ma in questa regione, per la tipologia di terreno, nelle grotte si trovano al massimo fossili di vertebrati terrestri. Buona parte delle colline toscane, infatti, compresi i rilievi su cui sorge Vinci, il paese natale di Leonardo, sono costituiti prevalentemente da sabbie e argille depositatesi su quelli che sono antichi fondali che risalgono al Pliocene, compreso circa tra i 5,3 e 2,6 milioni di anni fa. Allora questo territorio era in buona parte sommerso da un mare popolato da una grande varietà di organismi”. E i cui resti di balene, delfini, dugonghi e squali, insieme a fossili di molluschi, crostacei ed altri invertebrati vengono spesso ritrovati nei campi di girasoli, nei vitigni, ai piedi dei calanchi e lungo i fianchi delle colline. Tanti sono esposti a Calci, presso il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa. E è proprio grazie a questo ricco scenario paleontologico che gli scienziati hanno deciso di riconsiderare la questione del mostro marino leonardiano partendo proprio dalla frase, incompleta, “per le chavernose e ritorte interiora” che farebbe riferimento al luogo della scoperta.

“Il termine ‘cavernoso’ ha nei testi di Leonardo un significato tipicamente tessiturale, cioè riferito alla porosità e permeabilità ai fluidi” spiega Giovanni Bianucci, paleontologo dell’Università di Pisa e coautore della ricerca, “ed è utilizzato da lui per indicare la capacità delle rocce e, più in generale di un terreno, di assorbire le acque piovane. Oltre a questo abbiamo notato che il foglio che contiene la descrizione del mostro marino nell’attuale impaginazione del Codex Arundel è posto in posizione successiva a quello in cui tratta della visita di Leonardo a una caverna. Ma questo non vuol dire che tra i due ci sia consequenzialità logica in quanto la raccolta venne assemblata secoli dopo la morte di Leonardo e i fogli che la compongono, originariamente sparsi, vennero messi insieme per aree tematiche. Cade così il principale ostacolo all’accettazione dell’ipotesi della Etheridge ovvero la collocazione della straordinaria esperienza vissuta dal giovane Leonardo all’interno di una caverna”.
Esistono inoltre in altri appunti ulteriori indizi che fanno pensare che il giovane Leonardo abbia davvero osservato una balena fossile. In uno sembra addirittura fare sul presunto mostro marino vere e proprie considerazioni tafonomiche, relative cioè al suo stato di conservazione. È il Codice Atlantico, conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. “Riteniamo che nel foglio 715r Leonardo faccia riferimento esplicito allo stesso mostro marino definendolo, per esempio, ‘setoluto’, un termine che ricorda i fanoni, quelle strutture cornee filamentose che caratterizzano le balene attuali e che servono per filtrare il cibo dall’acqua. Riportare questo e altre note sul cetaceo in calce alle argomentazioni che qui fa sulla evoluzione della superficie terrestre, descritta come in continua trasformazione e capace persino di ‘fagocitarè le vestigia delle antiche civiltà, potrebbe avere un senso specifico: associare le stratificazioni del terreno che si sovrappongono col passare del tempo al processo di fossilizzazione dell’animale. Del resto nel Codice Arundel già scriveva di questo tempo storico o geologico riportando “quanti re quanti popoli [h]ai tu disfatti… po’ che la maravigliosa forma di questo pesce qui morì“”.

La collocazione fisica del presunto mostro marino che Leonardo descrive nel Codice Arundel, trovato in una “armadura e sostegno” al monte, rappresenta ancora un altro indizio che suggerisce una posizionamento lungo il fianco di una collina e non una grotta, ovvero uno scenario perfettamente compatibile con le condizioni più tipiche del rinvenimento delle balene fossili toscane. Di cui molte, come conferma un censimento di cetacei fossili rinvenuti in Toscana, sono state ritrovate nel corso degli anni in almeno in otto località poste nelle vicinanze di Vinci.
“Piuttosto che una divagazione fantastica su temi della letteratura antica” conclude Bianucci, “il testo leonardiano sembra dunque rappresentare la più antica descrizione a oggi nota di un cetaceo fossile. Che sembra aver avuto un impatto significativo sul successivo sviluppo del pensiero di Leonardo in ambito geo-paleontologico, che nel complesso mostra tratti di strabiliante modernità”.
Nonostante qualcuno affermi che Leonardo non possa essere considerato il padre della geologia e della paleontologia moderna in quanto le sue riflessioni rimasero in grandissima parte in forma di appunti privati che, in quanto tali, non ebbero risonanza tra i ‘filosofi della naturà suoi contemporanei, resta che l’uomo della Gioconda di tante cose fu il primo a scriverne. Come fece descrivendo questo cetaceo fossile. O negando il Diluvio Universale come ciò che portò i fossili marini sulle colline toscane.
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