I cambiamenti climatici causeranno una crisi economica mondiale

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Con il climate change la Terra è sull’orlo di una crisi sistemica: «È la Lehman del clima». Da un lato ci sono gli studenti che scendono in piazza ogni venerdì indignati dall’inazione della politica contro i cambiamenti climatici, dall’altro lato gli economisti seduti tranquilli nella loro torre d’avorio. I due campi non si parlano, perché uno degli aspetti più irritanti della ricerca sui cambiamenti climatici è l’enorme divario tra i modelli che proiettano gli effetti fisici del riscaldamento globale e quelli che proiettano i suoi impatti economici.

Mentre i climatologi comunicano notizie sempre più drammatiche, come quelle diffuse pochi giorni fa dall’Enea, secondo cui il livello del mare lungo le coste italiane s’innalzerà fra 94 centimetri e 1,45 metri entro la fine del secolo, sommergendo vaste aree della penisola e in particolare quasi tutti i porti, gli economisti non continuano a non fare una piega, come dimostra il famoso modello Dice del Nobel William Nordhaus, in base al quale un aumento di 6 gradi della temperatura media globale – equivalente all’inferno sulla Terra – intaccherebbe il Pil mondiale solo del 10%. I falchi del clima hanno un bell’insisitere che sono i modelli economici, non i modelli delle scienze fisiche, a trascurare dati essenziali e che l’attuale consenso degli esperti sui danni economici dell’effetto serra è troppo ottimistico, ma spesso restano senza argomenti e si scontrano con le posizioni tiepide dei governi.

Protesta studentesca sui cambiamenti climaticiLa tempesta perfetta

Ora, però, qualcosa sta cambiando. L’ultimo di una serie di studi economici sulle ricadute dei cambiamenti climatici dipinge un quadro ben più grave rispetto al consenso dominante, prevedendo una serie di effetti a catena con ricadute simili alla crisi economica che si è innescata nel 2008 con il fallimento Lehman. Il rischio descritto dall’analisi interdisciplinare dell’Institute for Public Policy Research di Londra è quello di un collasso sistemico, a cui contribuirebbero molti fattori diversi, che finora erano sempre stati analizzati separatamente.

La tempesta perfetta prevista dall’Ippr è una combinazione di temperature elevate, sterilità del suolo e perdita d’impollinatori, culminante in vaste crisi idriche e alimentari, che a loro volta porterebbero a migrazioni di massa, con gravi conseguenze sulla salute e sulla ricchezza degli abitanti delle poche aree abitabili del pianeta, da cui emergerebbero tensioni e conflitti potenzialmente disastrosi. «Stiamo entrando in un’area di rischio molto complessa e squilibrata, che potrebbe sfociare in un collasso di tutti i sistemi sociali ed economici fondamentali, a livello locale e persino globale – avverte lo studio -. Quest’area di rischio nuova riguarda praticamente tutti i settori della gestione pubblica ed è improbabile che le società organizzate siano adeguatamente preparate a gestirlo».

Il rapporto, intitolato “Questa è una crisi: affrontare l’era del collasso ambientale”, è un meta-studio che si appoggia su decine di articoli accademici, documenti governativi e rapporti di ong, incrociando i dati provenienti dalle diverse discipline, a partire dal deterioramento dei sistemi naturali negli ultimi 70 anni: l’aumento delle inondazioni di 15 volte, delle temperature estreme di venti volte, degli incendi di sette, la perdita di terreno fertile da 10 a 40 volte, la perdita del 60% di vertebrati e ancora maggiore d’insetti vitali per l’impollinazione. Questi processi, interagendo con i problemi sociali ed economici esistenti, minacciano un collasso sistemico simile alla crisi finanziaria del 2008. Lo studio prevede una crisi analoga derivata dall’inasprimento dei danni causati dagli uragani e dagli incendi, che potrebbero scatenare un’ondata di richieste di risarcimento dalle assicurazioni e minacciare la sopravvivenza delle istituzioni finanziarie.

Modelli da cambiare

La novità, rispetto alle analisi economiche tradizionali, è l’interdisciplinarietà. Finora la maggior parte degli studi sui rischi ambientali tendevano a concentrarsi ognuno sul proprio ambito scientifico: i climatologi sul collasso dei sistemi meteorologici, i biologi sulla perdita degli ecosistemi e gli economisti sui danni causati dagli episodi di maltempo estremo. Ora un crescente numero di ricerche sta valutando come l’interazione di questi fattori possa creare una serie di reazioni a catena nella società umana e nell’ambiente naturale.

L’interdipendenza dei vari fattori è anche al centro di uno studio pubblicato dalla Review of Environmental Economics and Policy, che invita l’Ipcc a modificare in questo senso i modelli che verranno utilizzati per stimare le ricadute economiche del riscaldamento globale nel Sesto Rapporto di Valutazione, di cui è prevista la pubblicazione nel 2022. Gli autori invitano i colleghi dell’Ipcc a esplorare meglio le interdipendenze fra i vari sistemi e a individuare i punti di non ritorno in cui le varie dinamiche interagiscono, innescando reazioni a catena inarrestabili. Sono questi i punti da cui bisognerebbe tenersi più lontani.

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