Fiume Artico a fuoco per lo sversamento di tonnellate di combustibile

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Disastro ambientale nell’Artico, Putin dichiara l’emergenza. In uno dei momenti più delicati della propria vita politica, all’ennesima brutta notizia, Vladimir Putin ha perso pubblicamente le staffe. Da settimane appare ogni giorno sui teleschermi, piuttosto rabbuiato, video-incorniciato da funzionari e dirigenti di vario tipo in interminabili collegamenti a distanza, aventi lo scopo di mostrare al Paese che tutto è sotto controllo. Malgrado l’epidemia, la quarantena, la crisi economica, il calo di popolarità che getta ombre sull’imminente referendum costituzionale.

A tutto questo si è aggiunto un nuovo disastro ambientale nella regione artica, risalente alla mattina del 29 maggio ma sul principio tenuto nascosto, stile Chernobyl. Secondo quanto chiarito da Svetlana Radionova, responsabile dell’organo federale per la tutela dell’ambiente (Rosprirodnadzor), in seguito a un calo di pressione nella centrale termo-elettrica TEZ-3 presso Norilsk, 300 km oltre il Circolo polare, 20mila tonnellate di combustibile diesel e lubrificanti sono fuoriuscite da una cisterna: 15mila tonnellate si sono riversate nei corsi d’acqua vicini, 6.000 sono state assorbite dal terreno.

Disastro ambientale nell’Artico, Putin dichiara l’emergenza di Antonella Scott 03 Giugno 2020 In uno dei momenti più delicati della propria vita politica, all’ennesima brutta notizia, Vladimir Putin ha perso pubblicamente le staffe. Da settimane appare ogni giorno sui teleschermi, piuttosto rabbuiato, video-incorniciato da funzionari e dirigenti di vario tipo in interminabili collegamenti a distanza, aventi lo scopo di mostrare al Paese che tutto è sotto controllo. Malgrado l’epidemia, la quarantena, la crisi economica, il calo di popolarità che getta ombre sull’imminente referendum costituzionale. A tutto questo si è aggiunto un nuovo disastro ambientale nella regione artica, risalente alla mattina del 29 maggio ma sul principio tenuto nascosto, stile Chernobyl. Secondo quanto chiarito da Svetlana Radionova, responsabile dell’organo federale per la tutela dell’ambiente (Rosprirodnadzor), in seguito a un calo di pressione nella centrale termo-elettrica TEZ-3 presso Norilsk, 300 km oltre il Circolo polare, 20mila tonnellate di combustibile diesel e lubrificanti sono fuoriuscite da una cisterna: 15mila tonnellate si sono riversate nei corsi d’acqua vicini, 6.000 sono state assorbite dal terreno. Poco hanno potuto fare i primi tentativi di contenere il danno con le dighe galleggianti: passando dai corsi d’acqua minori fino al fiume Ambarnaja, gigantesche chiazze rosse e viola, spesse 20 cm - documentate dalle fotografie pubblicate sui social dai residenti, o scattate dal satellite - si stanno dirigendo verso il Mar di Kara, mettendo a rischio la rete dei fiumi siberiani. Un incubo che si fa realtà: si teme che sia stato il permafrost, a rischio scioglimento per il riscaldamento climatico che sta sconvolgendo gli equilibri della Siberia più di ogni altra regione al mondo, all’origine dell’incidente. Avrebbero ceduto le fondamenta dell’impianto, pilastri che finora, sostenuti dalla terra gelata, avevano resistito per decenni senza problemi, dichiarano i proprietari dell’impianto. Una situazione che può ripetersi altrove. Fondata dal regime staliniano negli anni Trenta con il lavoro degli esuli e dei prigionieri dei gulag, per poi sfruttare quello negli enormi giacimenti minerari che la circondano, come tutte le località del Grande Nord Norilsk è costruita su pilastri, per poter reggere al disgelo: «Fa pensare a una ballerina sulle punte», scrivono le guide turistiche. Ora ci vorranno decenni per rimediare. Mentre Norilsk Nickel - il colosso minerario su cui poggia la regione, primo produttore al mondo di nickel e palladio - è al lavoro per contenere le conseguenze dell’incidente, Putin ha dichiarato lo stato d’emergenza. Ma quello che lo ha fatto infuriare è stato sapere che i proprietari dell’impianto - NTEK, sussidiaria di Norilsk Nickel (Compagnia energetica Norilsk-Taymyr) - avrebbero cercato di tenere nascosto l’accaduto. Le autorità locali e il governatore di Krasnojarsk, Aleksandr Uss, avrebbero saputo tutto dai social. «Perché le agenzie governative lo hanno scoperto solo due giorni dopo? Dobbiamo venire informati delle emergenze dai social media? - ha sibilato Putin in videoconferenza rivolto al responsabile di NTEK, Serghej Lipin - È sicuro di stare bene?». Sarà ora la Procura a stabilire le rispettive responsabilità, che gli interlocutori di Putin hanno iniziato a ribaltarsi uno sull’altro, in diretta tv, sul piano del disastro ambientale e su quello della mancata informazione. Uomini e mezzi della Protezione civile stanno arrivando sul posto, il loro compito ostacolato dal clima, dalla mancanza di strade e infrastrutture nella tundra, dai fiumi non sempre percorribili con grosse imbarcazioni. Rifacendosi a un’altra tragedia comparabile, l’avaria della petroliera Exxon Valdez 30 anni fa, al largo dell’Alaska, Greenpeace Russia prova a calcolare l’entità del danno. «L’avaria e la liquidazione delle conseguenze costarono allora alla compagnia responsabile più di 6 miliardi di dollari. Ma in Russia le imprese riescono spesso a sfuggire alla responsabilità finanziaria dei danni ecologici. Questo - conclude Greenpeace - deve finire: ci rivolgiamo al Governo con la proposta di modificare le leggi federali per prevenire catastrofi ecologiche come quella nella penisola di Taymyr». Giovedì mattina - mentre alla Borsa di Mosca il titolo di Norilsk Nickel perdeva il 7,5% - il ministro Evghenij Sinichev, responsabile per la Protezione civile russa, ha fatto sapere di aver individuato la strada per gestire le conseguenze dell’incidente: «Penso che sia stata trovata la soluzione, e la eseguiremo», ha detto Sinichev, citato dall’agenzia Ria Novosti. Ma non ha dato alcun dettaglio.Poco hanno potuto fare i primi tentativi di contenere il danno con le dighe galleggianti: passando dai corsi d’acqua minori fino al fiume Ambarnaja, gigantesche chiazze rosse e viola, spesse 20 cm – documentate dalle fotografie pubblicate sui social dai residenti, o scattate dal satellite – si stanno dirigendo verso il Mar di Kara, mettendo a rischio la rete dei fiumi siberiani. Un incubo che si fa realtà: si teme che sia stato il permafrost, a rischio scioglimento per il riscaldamento climatico che sta sconvolgendo gli equilibri della Siberia più di ogni altra regione al mondo, all’origine dell’incidente. Avrebbero ceduto le fondamenta dell’impianto, pilastri che finora, sostenuti dalla terra gelata, avevano resistito per decenni senza problemi, dichiarano i proprietari dell’impianto. Una situazione che può ripetersi altrove.

Fondata dal regime staliniano negli anni Trenta con il lavoro degli esuli e dei prigionieri dei gulag, per poi sfruttare quello negli enormi giacimenti minerari che la circondano, come tutte le località del Grande Nord Norilsk è costruita su pilastri, per poter reggere al disgelo: «Fa pensare a una ballerina sulle punte», scrivono le guide turistiche. Ora ci vorranno decenni per rimediare.

Mentre Norilsk Nickel – il colosso minerario su cui poggia la regione, primo produttore al mondo di nickel e palladio – è al lavoro per contenere le conseguenze dell’incidente, Putin ha dichiarato lo stato d’emergenza. Ma quello che lo ha fatto infuriare è stato sapere che i proprietari dell’impianto – NTEK, sussidiaria di Norilsk Nickel (Compagnia energetica Norilsk-Taymyr) – avrebbero cercato di tenere nascosto l’accaduto. Le autorità locali e il governatore di Krasnojarsk, Aleksandr Uss, avrebbero saputo tutto dai social.

«Perché le agenzie governative lo hanno scoperto solo due giorni dopo? Dobbiamo venire informati delle emergenze dai social media? – ha sibilato Putin in videoconferenza rivolto al responsabile di NTEK, Serghej Lipin – È sicuro di stare bene?». Sarà ora la Procura a stabilire le rispettive responsabilità, che gli interlocutori di Putin hanno iniziato a ribaltarsi uno sull’altro, in diretta tv, sul piano del disastro ambientale e su quello della mancata informazione.

Uomini e mezzi della Protezione civile stanno arrivando sul posto, il loro compito ostacolato dal clima, dalla mancanza di strade e infrastrutture nella tundra, dai fiumi non sempre percorribili con grosse imbarcazioni. Rifacendosi a un’altra tragedia comparabile, l’avaria della petroliera Exxon Valdez 30 anni fa, al largo dell’Alaska, Greenpeace Russia prova a calcolare l’entità del danno. «L’avaria e la liquidazione delle conseguenze costarono allora alla compagnia responsabile più di 6 miliardi di dollari. Ma in Russia le imprese riescono spesso a sfuggire alla responsabilità finanziaria dei danni ecologici. Questo – conclude Greenpeace – deve finire: ci rivolgiamo al Governo con la proposta di modificare le leggi federali per prevenire catastrofi ecologiche come quella nella penisola di Taymyr».

Giovedì mattina – mentre alla Borsa di Mosca il titolo di Norilsk Nickel perdeva il 7,5% – il ministro Evghenij Sinichev, responsabile per la Protezione civile russa, ha fatto sapere di aver individuato la strada per gestire le conseguenze dell’incidente: «Penso che sia stata trovata la soluzione, e la eseguiremo», ha detto Sinichev, citato dall’agenzia Ria Novosti. Ma non ha dato alcun dettaglio.

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