Doomsday Clock: due minuti alla mezzanotte. Ancora un parziale, inesorabile scatto in avanti per l’Orologio dell’Apocalisse, mentre crescono le voci critiche sulla sua utilità. È così o è disinformazione? E a tempo scaduto, che cosa accadrà? Uno strumento che sembra aver assunto il potere di causare ciò che predice.
Dopo le recenti dispute sulle dimensioni dei rispettivi “pulsanti nucleari” c’era da aspettarselo: giovedì 25 gennaio 2018 le lancette del Doomsday Clock, l’Orologio dell’Apocalisse, che simbolicamente indica quanto siamo vicini a distruggere la civiltà umana con le nostre stesse mani, sono state di nuovo spostate in avanti. Questa volta, di 30 secondi: siamo ora a due minuti dalla mezzanotte, cioè dal punto di non ritorno.
DOVE ERAVAMO. L’ultimo aggiornamento risaliva a gennaio 2017, quando le lancette erano state portate a due minuti e mezzo dalla mezzanotte a causa sia della ripresa della corsa agli armamenti nucleari, sia per il peso, giudicato “preoccupante”, di un’imponente campagna di disinformazione e di fake newsin fatto di scienza del clima.
Con l’ultimo scatto in avanti ci troviamo più vicini all’Ora X di quanto non lo siamo mai stati dal 1953, anno in cui le lancette furono portate alle 23:58 (due minuti dalla mezzanotte) per la corsa ai test atomici di USA e URSS.
È PROPRIO NECESSARIO?Mentre una catastrofe globale è da molti dipinta come sempre più vicina, c’è una scuola di pensiero che vorrebbe liberarsi di questo simbolico “conto alla rovescia”, che parte dal presupposto che il mondo stia inesorabilmente avanzando verso un futuro fosco.
Rispetto alla rivista del Bulletin, che svolge un ruolo prezioso di “ponte” tra scienziati, politici e attivisti, il Doomsday Clock è visto da alcuni come una metafora povera del livello di minaccia globale, anche perché fu inizialmente impostato a 7 minuti dalla mezzanotte, e principalmente per ragioni estetiche (dall’illustratore che per primo lo disegnò).
SI SALVI CHI PUÒ. Inoltre, la risonanza mediatica che questo messaggio di “pericolo imminente” ogni volta scatena, contribuisce (affermano i critici) ad alimentare forse quel clima di tensione e corsa agli armamenti che si vorrebbe scongiurare, oltre che un clima di assuefazione nell’opinione pubblica. Potrebbero esistere, ipotizzano alcuni, strumenti meno improntati al fatalismo e più efficaci, per sollecitare quella stessa “opinione pubblica” a un impegno politico attivo.
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