La bara nucleare perde scorie radioattive. L’enorme sarcofago costruito dagli americani per seppellire la spazzatura radioattiva dei loro test nucleari nel Pacifico si sta sfaldando: il cemento è vecchio, indebolito dal calore, intaccato dal sale. Ma gli Usa si “sfilano”.
Per risolvere il problema del terreno altamente radioattivo, conseguenza degli esperimenti nucleari condotti nel Pacifico dagli Stati Uniti, tra il 1946 e il 1962, sulle isole Bikini e Rongelap – dove sono esplose in atmosfera oltre 100 bombe nucleari, gli Usa sfruttarono il cratere Cactus, sull’isola Runit. A sua volta frutto di un test nucleare, il cratere del diametro di 115 metri venne usato come discarica per 111.000 metri cubi di terra “raschiata” via dalle due isole. Un lavoro ciclopico che richiese tre anni di lavoro e 250 miliardi di dollari dell’epoca.
Tutto sotto il tappeto. Riempita la discarica, il tutto fu sepolto da una gigantesca cupola (9.000 metri quadrati) fatta da 358 giganteschi blocchi di cemento da 45 centimetri di spessore.
Da alcuni anni a questa parte la struttura dà però segni di cedimento, intaccata nella sua integrità dall’età e dall’umidità. Analisi eseguite dal Governo Usa nel 2013 avevano appurato che parte del materiale radioattivo finisce nello strato poroso sottostante, le rocce dell’atollo corallino, e poi in mare, esponendo l’atollo e qull’intera regione del Pacifico a un altissimo rischio di contaminazione radioattiva.
António Guterres, l’attuale Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha definito questa situazione “una mostruosità che può trasformarsi in una bara per gli ecosistemi e le popolazioni locali”.
La stessa commissione Usa aveva a suo tempo concluso che la ricaduta radioattiva nell’area della laguna adiacente aveva raggiunto livelli talmente elevati che se anche la cupola fosse crollata… la radioattività non sarebbe aumentata più di tanto.
In più, l’innalzamento del livello del mare in quelle regioni del Pacifico è già in atto, e l’acqua potrebbe ben presto arrivare a minacciare le fondamenta della cupola: «Quella cupola è ricolma di contaminanti radioattivi, tra i quali il plutonio-239, una delle sostanze più tossiche che l’uomo conosca», è il grido d’allarme di Jack Ading, rappresentante del Parlamento delle Isole Marshall.
Abbiamo pagato… La questione è tornata alla ribalta quando, all’inizio di maggio, Guterres ha incontrato il presidente delle Isole Marshall, Hilda Heine, che gli ha consegnato un appello e una richiesta di aiuto alla comunità internazionale per affrontare le drammatiche sfide ambientali, per la salute delle persone e per l’avvelenamento delle acque attorno a quelle isole.
All’epoca dei test nucleari gli Usa deportarono le popolazioni di alcune isole, salvo poi permetterne il rientro alla fine del programma nucleare – ignorando la questione delle ricadute radioattive. Quando gli americani si ritirarono dalla regione, il governo delle Marshall accettò un accordo e un indennizzo tombale, ossia “completo e definitivo”: un pezzo di carta che consente oggi agli Usa di non sentirsi in debito…
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