Congresso Nazionale a Milano sulla regolamentazione dell’editing genetico

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Il gene editing equiparato agli Ogm? L’Europa rischia di rimanere al palo. «L’Europa sarà lo zimbello dell’innovazione in agricoltura per il prossimo decennio» ha commentato senza giri di parole, Maurice Moloney, direttore del Global Institute for Food Security canadese per spiegare l’impatto della sentenza della Corte europea sulle tecniche di editing genetico basate sul Crispr.

Lo scorso luglio la Corte con sede in Lussemburgo ha stabilito che gli organismi ottenuti con queste tecniche sono Ogm e quindi soggetti agli stessi vincoli regolatori che ne normano la commercializzazione e diffusione in campo. La comunità scientifica sta reagendo a quello che considera un colpo al cuore alla ricerca biotech europea. Pochi giorni fa il Bec, il Consiglio per la bioeconomia tedesco, composto da 17 scienziati che supportano Berlino su scienza e tecnologia, ha indicato che la Commissione europea deve rapidamente mettere in campo regole specifiche per i prodotti ottenuti tramite editing genetico se vuole salvare la ricerca europea. Senza una regolamentazione più attenta di quella che per molti è già la più grande scoperta scientifica del decennio, rischiamo infatti di vedere una stretta dei fondi per la ricerca sia a livello dei singoli Stati che nel programma Horizon Europe del prossimo decennio come è già avvenuto dopo il 2001 con gli Ogm. Il tema verrà affrontato anche dal 5 al 7 ottobre all’Università di Milano in occasione del XV Congresso nazionale dedicato a “Le libertà in persona”, promosso dall’Associazione Luca Coscioni.

Associazione Luca Coscioni
Associazione Luca Coscioni

I programmi quadro della Commissione richiedono di giustificare gli investimenti in ricerca a fronte dell’impatto economico che potranno produrre a valle. Il provvedimento renderebbe necessari investimenti molto importanti per portare una nuova cultura sul mercato che solo le grandi multinazionali sono in grado di affrontare e rischia di essere molto penalizzante soprattutto per le imprese medio-piccole che sono la maggioranza in Europa. In più scoraggia la nascita di nuove startup nel settore della bioeconomy che abbraccia non solo il food, ma anche i biocombustibili e i biomateriali, sempre più cruciali per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità. Anche per questo molti pensano già che la Brexit potrebbe essere l’occasione per fare della Gran Bretagna uno spazio di ricerca più libero in grado di attrarre molti dei talenti continentali nei prossimi anni. «Una regolamentazione era necessaria vista la potenza della tecnica Crispr nel modificare gli organismi viventi – osserva Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon di terapia genica e detentore di uno dei quattro brevetti italiani sul Crispr – ma da un punto di vista scientifico, invece di chiarire aumenta la confusione perché la modifica puntuale di un gene ottenuta con le tecniche di editing sono molto precise e mirate, spesso indistinguibili da quelle che avvengono naturalmente».

Un gene può infatti venire “spento” se produce effetti dannosi, come nel caso dei tumori o di allergeni del cibo, o riattivato per produrre una molecola mancante nell’organismo. «Il gene-editing è molto sofisticato e non è assimilabile alla transgenesi, ovvero l’introduzione, in blocco, di geni di specie diverse, e proprio per questo serve una regolazione che guardi alle applicazioni, non alla tecnologia utilizzata» sottolinea Naldini. Le applicazioni biomediche di Crispr come, appunto, le terapie geniche hanno già un loro percorso clinico-regolatorio e non sono minacciate dalla sentenza europea. Inoltre nell’uomo, diversamente da quanto avviene in piante e animali da allevamento, non si interviene sulle cellule germinali (spermatozoi e ovuli) che determina il patrimonio ereditario, ma solo su quella somatica dove insorge la malattia.

«È fuori di dubbio che queste tecnologie vadano regolamentate, ma spero che la sentenza riapra finalmente la discussione più ampia sulla normativa Ogm europea che, di fatto, è basata su un approccio antiquato in cui si discrimina l’alimento in base alle tecnologie di produzione– osserva Enrico Dainese, professore di biochimica degli alimenti e della nutrizione dell’Università di Teramo – Oggi non possiamo classificare un alimento a rischio in base alle metodiche usate per produrlo.

È poi necessaria una nuova opera di informazione. Quando si parla di un “livello soglia” di Ogm al massimo dello 0,9% per la maggior parte dei consumatori ciò implica che questi alimenti sono tossici, in realtà questa soglia riguarda solo i cibi già controllati e sicuri e sarebbe folle se autorizzassimo una percentuale così alta di un alimento a rischio. Andrebbe piuttosto valutato caso per caso il rischio di ogni prodotto e esiste già l’Autorità europea per la sicurezza alimentare che è in grado di farlo».

Su questo fronte l’Italia sembra particolarmente penalizzata perché, a differenza di Francia e Spagna, non abbiamo produzioni locali di Ogm nonostante ne autorizziamo l’importazione e il consumo. «Il risultato è che non facciamo informazione su cosa sono Ogm e Crispr e non accediamo nemmeno ai fondi europei per sostenerla – osserva Dainese – dimenticandoci che le attitudini dei cittadini verso la ricerca stanno cambiando e perdendo occasioni preziose per rendere migliori i nostri prodotti e la nostra agricoltura più competitiva». L’editing genetico che usa Crispr permetterebbe di produrre alimenti con meno allergeni, ma anche piante come le viti da vino che non avrebbero più bisogno di venire innestate su piedi americani per resistere ai parassiti.

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