Richiesta di calamità naturale alle Eolie per un settore che deve fare i conti con la presenza dei cetacei. Se lo sognano la notte, il verso del delfino. «Sbuffa e si mangia tutto. E noi torniamo con le barche vuote». Alle isole Eolie i pescatori hanno un nemico con cui contendere ogni notte il pesce: gruppi di delfini circondano le imbarcazioni e mangiano i totani che stanno per essere pescati. Sono infuriati e dopo un’assemblea promettono due giorni di sciopero per la settimana prossima. Tra Lipari e Salina raccontano di un fatturato sceso del 70 per cento e di famiglie in crisi: prima ogni barca portava a terra circa 25 chili di totani, adesso non più di tre chili.
“La situazione non è più sostenibile, ogni notte in mezzo al mare c’è una guerra per sopravvivere. Sia chiaro, noi non abbiamo nulla contro i delfini ma una situazione bisogna trovarla: o i pescatori o loro. Chiediamo lo stato di calamità naturale”, si infervora Giuseppe Spinella, vicepresidente del Co.Ge.Pa, il consorzio che riunisce le 119 imbarcazioni che pescano nell’acqua attorno alle isole Eolie.
In questo tratto di mare ci sono più di cento delfini, anche se non esiste un conteggio preciso. Secondo il Filicudi wildlife conservation che si occupa di ricerca sugli animali che popolano il mare ci sono 42 delfini Tursiope e molti di più del tipo Stenella Striata. I primi si aggirano sotto la costa e si cibano di pesce, mentre i secondo stanno un po’ più lontani.
“I pescatori avvertono un aumento dei delfini, ma non è così. Il problema è che è diminuito il pesce in mare e i cetacei si spostano verso le barche per mangiare”, dice Monica Blasi, biologa di Filicudi wildlife.
Parlano di “guerra”, di “gioco che non vale la candela”, i pescatori delle Eolie. Ad essere prese di mira sono soprattutto le piccole imbarcazioni, la maggior parte in questa zona, di circa 5 metri che non superano le 12 miglia di distanza. Vincenzo Giuffrè pesca totani da un quarto di secolo e una cosa del genere non l’ha mai vista: “Usciamo quando il buio copre il mare. Ogni barca si prende un pezzo d’acqua e aspetta di raccogliere più totani possibile. O almeno, prima andava così. Adesso sentiamo i delfini sbuffare e cominciamo a tremare, non c’è più pesce per noi. Sbucano dall’acqua e ci mostrano il loro ghigno”. Con la radio i pescatori si scambiano informazioni e capita spesso che tutte le imbarcazioni sono contemporaneamente accerchiate dai delfini. “Prima portavamo a casa circa duemila euro al mese, adesso spesso torniamo al porto senza nemmeno aver incassato le spese per il carburante”, raccontano.
In un’assemblea, ieri, circa 60 pescatori hanno sbattuto i pugni sul tavolo: “Bisogna trovare una soluzione”, hanno urlato. E una soluzione sembra esserci: si chiama Pingers. “È un dissimulatore acustico che verrà posizionato sulle imbarcazioni o sugli attrezzi di pesca che allontana gli animali. Lo testeremo in alcune barche da maggio per tre mesi, grazie a dei finanziamenti che abbiamo ricevuto”, dice la biologa Blasi. Ma non è detto che funzioni: i delfini potrebbero anche abituarsi al suono e ritornare ad “attaccare” le imbarcazioni.
“Ovviamente, speriamo di no. Perché se questo test dovesse andare storto qualcuno deve trovare una soluzione: o qualcuno ci compensa le perdite oppure si allontanano i delfini. Oppure si punti sulla riconversione dei pescherecci”, ragiona Spinella del consorzio dei pescatori.
Su un punto sembrano tutti d’accordo: nessuno vuole uccidere i cetacei. Un pescatore racconta una storia: “Mia figlia è andata a scuola e ha urlato alla maestra: “Mio padre è una brava persona, non vuole ammazzare i delfini. Ma deve portare il pane a casa”. È un problema, se ne parla anche nelle classi”. Il buio è calato, quando Vincenzo prende il largo: “Sentiamo già sbuffare i delfini, anche oggi non porteremo nulla a casa “.
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