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Alla scoperta dell’origine dei sogni

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“Abbiamo scoperto dove nascono i sogni”

Un gruppo di ricercatori italiani ha osservato l’impronta del cervello che è impegnato nella vita onirica. Francesca Siclari, neurologa che lavora a Losanna: “Forse un giorno capiremo quali immagini ci passano nella testa mentre dormiamo”. La ricerca pubblicata su Nature Neuroscience.

La matria (grigia) di cui sono fatti i sogni è in una zona del cervello poco esplorata. Quando, quasi per caso, esperimenti del passato avevano provato a stimolarla, i volontari si erano descritti “come in un mondo parallelo”, “disconnessi dalla realtà” o “in un fumetto”. Oggi, cercando di capire cosa vuol dire esattamente sognare, un’équipe di scienziati italiani e americani si è di nuovo imbattuta in lei: una zona un po’ più estesa, ma sempre centrata attorno all’“area del fumetto”. Si tratta di un punto piuttosto superficiale, poco sopra alla nuca. I ricercatori alla caccia della sorgente da cui nasce la nostra vita onirica l’hanno ribattezzato “hot zone”: zona calda corticale posteriore.

“E’ un’area che diventa molto attiva quando iniziamo a sognare” spiega Francesca Siclari, neurologa dell’ospedale universitario di Losanna, fra i coordinatori della ricerca pubblicata su Nature Neuroscience, Assieme a lei, allo studio hanno partecipato Giulio Tononi, esperto di sonno e coscienza, e altri neuroscienziati dell’università del Wisconsin e della Scuola di studi avanzati di Lucca. “Nella hot zone, prima che nel resto del cervello, le onde lente che caratterizzano il sonno profondo lasciano spazio a quelle rapide, caratteristiche della veglia. In un primo esperimento abbiamo notato questo fenomeno. Nel secondo abbiamo messo alla prova la scoperta: osservando il tracciato dell’elettroencefalogramma, abbiamo cercato di prevedere se i nostri volontari stavano sognando o meno. Poi li abbiamo svegliati. Siamo riusciti a vedere giusto nell’87% dei casi”.

In rosso, l'area dove nascono i sogni
In rosso, l’area dove nascono i sogni

Le strade che si dipartono da questa scoperta sono almeno tre. Ce n’è una immaginifica, una più prettamente neurologica e una che confina con la filosofia. La prima ammette che un giorno sarà possibile, forse, osservare un elettroencefalogramma ad alta densità (256 elettrodi applicati su cranio e viso) e capire cosa una persona sta sognando. “Non avverrà certo domani, ma sono ottimista” dice Siclari. “Potremo suddividere i sogni in categorie piuttosto grossolane, sarà difficile definire la trama precisa, ma credo che siamo sulla buona strada”. Il passaggio dalle onde lente a quelle rapide, infatti, ha origine nella hot zone, ma coinvolge anche le zone corticali legate per esempio alla vista in un sogno pieno di immagini, al linguaggio in caso di conversazioni oniriche, e così via.

La seconda strada riguarda la neurologia, e riguarda un problema che restava irrisolto da decenni. Si sa infatti che il sonno è diviso in una fase Rem e in varie fasi non Rem. All’inizio si credeva che i sogni avvenissero solo nella prima, poi si è osservato con sorpresa che esiste anche un’attività onirica nella fase non Rem. “Ci si è subito chiesti il perché” spiega Siclari. “Si tratta di due fasi in cui l’attività del cervello è completamente diversa. Come è possibile che il sogno si sviluppi in entrambe? La nostra risposta è che il meccanismo è indipendente dal sonno Rem o non Rem, proprio perché il sogno ha una sua sorgente autonoma, la hot zone”.

Nelle sue varie fasi, l’esperimento ha coinvolto prima 32 volontari chiamati a dormire in laboratorio, con gli elettrodi fissati in testa, e svegliati periodicamente durante la notte. Poi i ricercatori hanno concentrato la loro attenzione su un gruppo di 7 persone, svegliate dieci volte e più durante la notte (alcune si sono sottoposte all’esperimento anche dieci notti), che erano state addestrate in precedenza a ricordare l’ultima immagine vissuta prima del suono della sveglia scrivendola o dettandola al registratore del telefonino.

Poi, alla fine, i ricercatori hanno provato a rispondere alla questione più sfuggente di tutte, quella che riguarda la coscienza (il tema da cui era nata la curiosità dei neuroscienziati). La capacità del cervello di avere esperienze infatti resta sempre attiva durante la veglia, ma si dissolve con il sonno. Il sogno, da questo punto di vista, viene definito come un “terzo stato” dai caratteri indistinti. Secondo i ricercatori italiani e americani, il fatto che l’esperienza onirica abbia una base neurologica osservabile rafforza la teoria secondo cui anche i sogni possono essere definiti “esperienze in cui la coscienza è attiva”. E se l’attività della hot zone è una spia della capacità del cervello di vivere esperienze nonostante sonno e immobilità, lo studio di Nature potrebbe avere anche applicazioni più prettamente mediche. “La nostra ricerca – spiega Siclari – può portare a nuovi marker per valutare lo stato di coscienza nei casi di coma o durante un’anestesia”.

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